1.)
L’Ebreo[1] crea l’Ebreo,
e questo è chiamato così: "proselito[2]";
ma un proselito non crea un proselito. Quanti sono nella Verità[3] sono della
Verità e generano altri; a questi è
sufficiente entrare nell'Esistenza[4].
[1] Ha
inizio, e proseguirà per un lungo tratto di questo scritto, un parallelismo fra
la forma e la sostanza dell’ebraismo e la forma e la sostanza dello
gnosticismo. Per la scuola valentiniana, a cui possiamo ascrivere questo testo,
l’ebraismo è la religione che si raccoglie attorno al culto del Demiurgo, il
Dio Tetragrammatico, che ha creato questo mondo e che governa attraverso il
tempo e le passioni: un dio minore cieco ed arrogante.
[2] Tardo latino prosely̆tus, e questo dal greco. προσήλυτος,
propr. «sopravvenuto». Nell’antico ebraismo così erano indicati coloro che si
convertivano da altra religione a quella ebraica. Tale passaggio lascia aperta
una serie di ipotesi. In base al “Halakhah” (è la tradizione
"normativa" religiosa dell'Ebraismo), la condizione ebraica (di una
persona, si deve considerare la condizione di entrambi i genitori. Se entrambi
sono ebrei, allora anche la prole sarà considerata ebrea, ed assumerà lo status
del padre (per esempio quello sacerdotale se è un Cohen). In una versione meno
rigorosa si è ebrei per via matrilineare e solamente in un’accezione non
rigorosa, e quindi ortodossa, lo si è in forza di un proselito. Il versetto fa
supporre che è possibile convertirsi all’ebraismo, ma che il convertito non
sarà mai un vero ebreo: lasciando supporre una filiazione
psichica/spirituale/magica che scorre per via carnale.
[3] La
“Verità” a cui il narratore si riferisce è quella incarnata nello gnosticismo,
e non deve essere intesa quale frutto di un processo dialettico razionale.
Essa, la Verità, è sostanziale in quanto è veicolo e forma di salvezza. Questa
verità non riguarda i fenomeni e la manifestazione in cui lo gnostico è
immerso, non concerne gli effetti, i sintomi o le cause che determinano i pesi,
le misure e le regole che governano questo mondo. La verità di cui si narra è
duplice. 1. La comprensione dell’illusoria ciclicità di questo mondo
espressione di un dio minore 2) l’appartenenza ad una figliolanza spirituale
altra rispetto a quella carnale.
[4] L’esistenza
ha qui un duplice significato. Il primo ha valore ontologico: è il
ricollegamento all’Essere, al ProtoGenitore, alla discendenza del Pleroma a cui
lo gnostico deve tendere. Il secondo ha valore comparativo: colui che è esiste
nella Verità è perfetto a sé stesso e immutabile: egli non ha più necessità di
creare: egli genera suoi simili nella sostanza spirituale.
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