1. Introduzione
Torniamo in questo lavoro a parlare delle
emersioni simboliche.
Prima di procedere oltre è bene ricapitolare
cosa mai intendiamo per simbolo onde evitare spiacevoli fraintendimenti che
potrebbero inficiare la comprensione del presente lavoro.
Anticamente al momento della stipulazione di
un contratto o di un patto di i due contraenti spezzavano un anello o una
tessera di terracotta, ed ognuno di esse ne conservava una metà. La perfetta
componibilità delle due parti nella forma originaria garantiva l'esigibilità
del corrispettivo pattuito, o il mantenimento dell’impegno concordato. Lo
messaggero, che doveva consegnare un importante messaggio, era munito della
metà di una qualche oggetto, che poteva essere ricomposto solamente con la
parte in possesso del destinatario della missiva, in modo da garantirne
l'autenticità del messaggio e lealtà del messaggero.
Ponendo la nostra attenzione sull’etimo
della parola simbolo, vediamo come questa affonda le proprie radici nel
greco antico
Σύμβολον dalle radici σύμ- (sym-, "insieme") e βολή (bolḗ, "lancio").
Donando quindi non solo l’idea di una
ricomposizione, che al contempo è anche ciò che segue ad una scomposizione,
ma anche di un aspetto dinamico, di una volontà di azione, in un senso o
nell’altro senso, immancabile al fine di rivelare o occultare il Simbolo.
Ciò che ulteriormente preme osservare, in
questa fase introduttiva, è la differenza che sussiste fra segno e simbolo,
dove il primo rappresenta una flusso informativo dialettico-razionale,
mentre il secondo trascende questo aspetto andando ad impattare nel profondo
la nostra coscienza con un richiamo di informazioni largamente personali e
soggettive.
Pensiamo come esempio ad un cartello
stradale o ad un divieto, il concetto racchiuso nel segno è latore di un
novero di informazioni quanto più oggettive ed immediatamente riconoscibili
dalla nostra sfera logica. Pensiamo adesso all’immagine di Adamo ed Eva,
dell’albero e del serpente che offre la mela, siamo qui innanzi ad una mole
di informazioni, ad un flusso impetuoso di stimoli che oltre la sfera
logica, colpiscono l’emozionale, associandosi ad una moltitudine di
componenti basilari della nostra educazione, formazione, identità di essere.
Siamo quindi in presenza sempre e comunque di segni grafici, ma con una
valenza profondamente diversa. Si potrebbe obiettare che un’immagine non è
un simbolo, ma bisognerebbe chiedere a colui che propugna tale affermazione
per quale motivo non lo è, o non lo dovrebbe essere; tenuto conto della
definizione che abbiamo dato di simbolo.
Riassumendo, e terminando, questa breve
panoramica introduttiva, è bene sempre ricordare come il Simbolo nasce
dall’interazione di almeno due elementi, precedentemente facenti parti di
un’unica forma, e di una volontà di ricongiunzione dei medesimi. E’ su
questo duplice presupposto che andremo adesso a narrare di quei particolari
fenomeni, che devono essere sempre incessantemente ricercati dall’argonauta
dello spirito, e che noi chiameremo Emersioni Simboliche.
2. Delimitazione del Concetto
In
genere l’arte del simbolo è da molti praticata come la continua ed infinita ricerca di
significati da attribuire a quello o a quell’altro segno. Un associare
continuo di pensieri e concetti, ad un segno grafico, operando così
all’opposto di quanto tale arte dovrebbe correttamente intendere. In quanto
non è l’uomo dall’esterno ad attribuire informazione al simbolo, ma è il
simbolo dal proprio interno a portare informazione, quando non una vera e
propria formazione. Decenni di pratica individuale e di gruppo, mi hanno
portato a considerare come spesso la massa di nozioni precedentemente
acquisite, determini un soffocamento di ogni spontanea emersione del
significato di un simbolo. Il quale è portatore, in un dato momento, di uno
e solo un significato, e non di una molteplicità di attribuzioni posticce, e
questo proprio perché, a differenza del segno, il simbolo non opera a
livello dialettico razionale, ma intuitivo irrazionale. Prendiamo a tale
esempio il simbolo della croce, esso può rappresentare la suddivisione dello
spazio, il movimento, la fissazione, l’incontro fra l’elemento spirituale e
materiale; ma in un dato momento della vita del ricercatore esso potrà
assumere solamente un significato sostanziale, in quanto uno e solo uno è il
livello dell’essere del ricercatore.
E’ giunto adesso il momento di delimitare il
concetto stesso di Emersione Simbolica. Ove intendiamo quelle
manifestazioni, dalle profondità del nostro essere, di simboli ed immagini a
livello cosciente. Possiamo vedere le profondità del nostro essere come la
sfera inconscia, e le immagini e i simboli che affiorano a livello conscio
come l’emersione di materiale psichico precedentemente rimosso, o
preesistente e fino a quel momento non raccolto dalla nostra sfera conscia.
In questa prospettiva non solo il concetto
di Simbolo ha piena applicazione, ma trova in tale campo di indagine la
propria ragion d’essere, la sostanziale coincidenza fra ciò che si intende e
ciò che è in quanto tale. Rappresentando la sfera conscia e la sfera
inconscia le due parti originariamente unite ed adesso scisse, l’emersione
simbolica ha la duplice valenza di un ponte frattale che le unisce, e al
contempo rappresenta una dinamica insorgenza di volontà, di attestazione di
esistenza. ( Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre trovano visione completa
dell’uno nell’altra, e dell’altra nell’uno, attraverso l’affioramento del
serpente dalle profondità della terra che offre loro la possibilità di
nutrirsi della mela.) Queste due sfere, conscio ed inconscio, risultano
separate da una sorta di diaframma, fino a quando la volontà dell’uomo non
si interroga sul perché dei propri agiti, o non si sofferma a osservare,
prima, e riflettere, poi, su elementi che non provengono dai soliti processi
relazionali, ma affondano in un qualcosa di più profondo. In genere tendiamo
a non porre ad essi attenzione, non comprendendo che la nostra natura non è
la sfera cosciente, ma la complessità della nostra struttura psichica, e che
l’inconscio non è certo la pattumiera di quanto non ci è utile, ma solamente
un gemello che ci rifiutiamo di accettare compiutamente.
Bisognerebbe chiedersi quale debba essere la
linea di azione dell’esoterista, dello spiritualista, del metafisico, o del
mistico ?! Apprendere decontestualizzate asserzioni attorno alla natura del
mondo, così come riportate da altri, sprofondando così in un misto di
ingenuo devozionalismo e grossolana ignoranza, oppure interrogarsi attorno
al reale significato dello scibile ermetico e gnostico ? Continuare a mirare
il dito, oppure volgere finalmente lo sguardo verso la Luna ?! Ed ancora è
mai possibile pretendere di guidare gli elementi del cosmo, professarsi
sacerdoti del sacro, quando non si governa il proprio agire e non si conosce
la nostra natura ?! Non vi è altro titanismo che la ricerca interiore, e
l’affrontare quella folla di demoni ed angeli, divinità e bestialità che si
celano nel profondo del nostro animo. E’ nello scomposto labirinto di
elementi rimossi e preesistenti, che come un novello Teseo dobbiamo
ricercare noi stessi, fino a scoprire cosa nasconde realmente l’ultima
svolta del cunicolo. Sfortunatamente si preferisce più parlare delle cose di
Dio e delle Natura, piuttosto che cercare attivamente risposte sulla nostra
anima.
Non solo l’erudizione senza opera è errore,
ma lo è altrettanto il ritenere che quanto giunge al termine di una pratica
sia il frutto di una manifestazione divina, o di un’irruzione su questo
piano di elementi spirituali, in quanto ciò continua ad alimentare
l’illusione che vi sia qualcosa di esterno a cui chiedere un dono, una
manifestazione. Mentre è invece utile considerare quelle immagini danzanti
oltre al cerchio, quelle movenze di intelletto durante la meditazione,
affioramenti dal profondo, il frutto di un sommovimento interiore che lascia
emergere quanto fino a quel momento era celato negli abissi. In tale ottica
la pratica è quell’utile strumento che calandosi nelle profondità del nostro
inconscio, come una rete ne raccoglie i frutti, oppure come trivella che
perfora la crosta della terra lascia sgorgare i corsi d’acqua fino a quel
momento celati.
Ecco quindi che riuscendo ad innalzare il
tono del rituale, uscendo dalla semplice meccanica dello stesso, mostrando
vigilanza durante il sonno, ponendo attenzione alle sensazioni maturate
durante l’atto sessuale, abbiamo l’opportunità di raccogliere l’espressione
più immediata, anche se parziale, della nostra psiche. Quanto detto non deve
suggerire che solamente in queste fasi dalle profondità della nostra psiche
emergono elementi simbolici, ma solamente che in queste fasi la nostra
attenzione, è in grado di cogliere e trattenere tali elementi, in modo che
successivamente in modo proficuo potremo analizzarli.
Invero queste emersioni sono costanti,
solamente è raro che la nostra vigilanza, se non volontariamente
sollecitata, è in grado di coglierle, e di conseguenza così come sono
emerse, così tornano ad immergersi. Alla stregua di quei racconti che
narrano di isole che periodicamente si innalzano dalle profondità
dell'oceano, salvo poi inabissarsi nuovamente lasciando sgomenti i marinai
presenti a tale evento.
Questa similitudine coglie molto il senso di
quanto stiamo trattando. L'oceano rappresenta sia quella superficie che
permettendo la navigazione pone in contatto isole e continenti (le varie
porzioni della nostra psiche), ma che nasconde nelle sue profondità terre
dalle forme sconosciute, mostri marini, simboleggiando quindi quanto vi è di
ignoto ed antico: Come ignote ed antiche sono le origini della vita e della
coscienza. L'emersione della terra è il disvelamento di quanto fino a poco
prima era nascosto, e il marinaio che con stupore osserva il fenomeno è l’io
cosciente che specchiandosi scopre un particolare dell'intera natura
psichica che fino a quel momento era sconosciuta. Nel caso in cui esso
riesca a trattenere il nuovo elemento questi viene assimilato, tramite un
processo di integrazione, che inevitabilmente comporta una modificazione di
quanto era in precedenza.
Non è questo il luogo e il momento ove
discorrere se tenuto conto di quanto l'elemento psichico rimosso sia
sovrastante dell'elemento integrato, o altrimenti di quanto il nostro
inconscio sia maggiormente esteso del nostro conscio, sia il caso di
procedere ad una lenta emersione integrazione del primo, oppure ad una
rapida immersione del secondo. Anche se invito ognuno di noi a dedicarsi a
tale riflessione, in quanto che valore ha la nostra vita se non persegue un
cammino di continua presa di coscienza, ed identità?
E' però sicuramente deprecabile la
preventiva ostilità che molte realtà che si definiscono iniziatiche hanno
nei confronti di questi elementi occultati del nostro essere, dimentiche che
ogni palazzo deve pur sorgere sulle delle fondamenta, e al contempo ogni
costruzione deve tener conto delle particolarità del terreno su cui sorge,
onde evitare crolli improvvisi, o che si abbatta il fulmine divino sulla
nostra torre.
La pratica esoterica sia essa ascrivibile
alla meditazione simbolica, o al sogno consapevole, o a quelle pratiche di
operatività sessuale, non ha valore in quanto tale, ma in quanto strumento
di esplorazione. Così come la nave non era il fine degli argonauti, ma
solamente un mezzo di trasporto.
In genere tutta l'operatività ha come
finalità quella di intensificare i momenti in cui "qualcosa accade", sia
quella di renderci vigili rispetto ad essi. Pensiamo a tal caso agli
esperimenti in laboratorio, dove il risultato non sono gli elementi che
verranno mescolati, ma quanto da essi di nuovo scaturisce, e al contempo la
necessaria attenzione, perizia, e genialità, del tecnico a tale opera
preposto.
3. Prospettiva di Lavoro
Il
monito "Uomo, conosci te stesso, e conoscerai l'universo e gli Dei"
(Γνῶθι σαυτόν, gnôthi sautón), iscritto sul tempio dell'Oracolo di Delfi
, non lascia dubbi possibili su dove
debba dirigersi l’azione conoscitiva umana, solamente chi ha le chiavi della
conoscenza interiore, potrà conoscere i segreti dell’universo e del divino.
In quanto tutto ciò che deve essere conosciuto trova le proprie radici
nell’animo umano. Risulta ben chiaro che in questa prospettiva, il lavoro
che si chiede di
compiere è rivolto verso l’interno dell’uomo, e non verso l’esterno. Un
lavoro scevro di considerazioni etiche e morali, privo di qualsiasi
illusione attorno all’intervento divino, non legato a dinamiche proiettive,
non condizionato da assiomi e postulati, ma dove ognuno degli strumenti che
l’arte esoterica ci pone e propone deve essere impiegato alla ricerca della
verità interiore, la verità su noi stessi.
Ecco quindi come attraverso la pratica della retrospezione giornaliera (il
ripercorrere a fine giornata gli elementi salienti della nostra attività),
dell’introspezione (il verificare cosa questi elementi hanno determinato a
livello emotivo, o da cosa essi stessi sono stati determinati), porta ad
allenare la nostra capacità di attenzione e di ascolto verso quelle istanze
interiori, che fin troppo spesso trascuriamo. Fornendo anche utili elementi
su quelli che sono i nostri dinamismi, e le risposte degli elementi
costituenti la nostra psiche alle varie sollecitazioni.
Quanto sopra, di cui potete trovare liberamente traccia con semplici
ricerche, altro non rappresenta che un lavoro preparatorio, una prima
esplorazione della nostra natura, in quanto raccoglie ed indaga fenomeni e
sintomi del nostro agire quotidiano frutto di agiti interiori.
Un lavoro propedeutico e deduttivo, rispetto a quanto dobbiamo riservare,
della nostra pratica, nell’andare a ricercare quelle emersioni di cui
abbiamo trattato. In quanto esse non risultano filtrate dal mondo
fenomenico, e neppure tradotte attraverso il linguaggio della ragione, o dei
sentimenti, o delle sensazioni, ma frutto della reale espressione
comunicativa delle nostre componenti psichiche, se non una diretta
emanazione delle stesse. Fornendoci così delle chiavi di lettura, e chiavi
di opera interiore, capaci di modificare il nostro stesso sistema
percettivo-cognitivo.
Questi affioramenti saranno sia “liberi”, seppur associati alla natura della
pratica, sia rispondenti ad un particolare stimolo di ricerca, in relazione
alla pratica che ha causato la loro emersione. Possiamo osservare come
durante l’opera di lavoro di coppia, queste rappresentazioni, sia in forma
di immagine che di simbolo, ben di rado potranno essere riconducibili a
determinati aspetti interiori, trovando la propria radice in quei profondi
atavismi quali la sessualità e la morte. Operando attraverso l’adeguato uso
di mantra, o loghion, è possibile provocare, per una sorta di risonanza,
l’emersione di elementi riconducibili ad aree psichiche assonanti con la
forma e la sostanza della pratica.
Del resto dobbiamo porci nella condizione di comprendere come taluni
elementi quali la sessualità e la morte non costituiscono certo delle
sovrastrutture, e in quanto tali liberamente enucleabili, ma bensì quel
terreno su cui poggia tutta la nostra struttura psichica, o almeno quella
parte di essa strettamente legata al vitale. Trovandoci così innanzi ad un
elemento che rappresenta l’oceano stesso su cui sono disseminate le varie
isole umane, ed è quindi scarsamente ipotizzabile che esso risponda
docilmente al nostro impeto di ricerca, o che possa essere stimolato in
maniera selettiva ed univoca.
Del resto è altresì possibile attraverso la ricerca di relazioni biunivoche
fra la pratica posta in essere, e gli affioramenti ad essa conseguenti; come
del resto sollecitare in modo violento la struttura psichica stessa e
cogliere quanto emerge a posteriori. Ritengo che la scelta fra i due modi di
procedere debba essere corrispondente non tanto a precetti dogmatici, quanto
alla natura stessa del ricercatore.
A prescindere del modo con cui si opera, è importate ciò che si ottiene con
l’opera stessa e cioè quel flusso simbolico o immaginifico, su cui rivolgere
non solo l’attenzione necessaria per trattenerlo nella
sfera conscio. Onde evitare che così come si è manifestato, possa poi
ritrarsi ed inabissarsi nuovamente nelle profondità dell’inconscio, ma anche
quella attenzione necessaria all’analisi postuma dell’affioramento in modo
da renderlo oggetto di studio, svelarne gli arcani, e integrarlo così nella
nostra parte cosciente.
Uno studio ovviamente non dialettico, non
legato alle logiche dell’erudizione o della cultura, ma bensì profondo,
sostanziale. Dove l’elemento in oggetto è posto al centro del cerchio
meditativo, in modo da poterne di svelare i profondi legami e richiami nella
nostra psiche, comprendere quali porte del profonde apra, ed utilizzarlo
successivamente come una chiave per scendere o per salire lungo le
estensioni spirituali del nostro essere. In altri lavori, ed altri ne
seguiranno, abbiamo indicato come le chiavi angeliche o demoniache presenti
in numerosi grimori o clavicole altro non sono strumenti evocativi di
potenze sovrumane, cadendo così nella superstizione e nel fallimento, ma
bensì simboli psicodinamici atti a metterci in contatto con elementi
costituenti la nostra psiche, con quegli atavisimi ed archetipici su cui e
da cui siamo modellati.
Ecco quindi la necessità di prestare attenzione a quando ci proviene in
questi momenti di alternata coscienza, di espansione delle nostre attitudini
di ascolto e visione, in modo tale da comprendere quali siano i nostri
schemi sottili. Potremo così verificare il ripetersi di immagini (che io
chiamo grandi chiavi), le quali rappresentano degli elementi portanti della
nostra psiche, degli autentici architravi su cui si poggia tutta la nostra
struttura. L’individuazione di essi, la loro collocazione nel centro focale
della nostra indagine, le successive pratiche su di essi devono essere la
nostra prospettiva di lavoro. Giungendo così a scoprire e considerare che il
vero Titanismo è la conoscenza dell’uomo da parte dell’uomo.
Per approfondimenti:
Sogno
Consapevole,
Emersioni Simboliche,
Rappresentazione
Astrale,
Sogno Lucido ed
Astrale,
I Tre Mondi Astrali
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