Qualsiasi
descrizione dell'epoca ellenistica deve iniziare con Alessandro Magno;
la sua conquista dell'Oriente (334-323 a.C.) segna una svolta nella
storia del mondo antico. Dalle condizioni che essa creò, sorse una unità
culturale più vasta di ogni altra esistita precedentemente, unità che
doveva durare per quasi un millennio fino a che a sua volta fu distrutta
dalle conquiste dell'Islam.
Il
nuovo fatto storico reso possibile, e in realtà voluto, da Alessandro
fu l'unione dell'Occidente e dell'Oriente. «Occidente» significa qui il
mondo greco riunito intorno all'Egeo; «Oriente», l'area delle antiche
civiltà orientali, che si estendevano dall'Egitto ai confini dell'India.
Sebbene la creazione politica di Alessandro si sia sfasciata dopo la
sua morte, la fusione delle civiltà continuò indisturbata durante i
secoli seguenti, sia come processo regionale di fusione tra i numerosi
regni dei Diadochi, sia come nascita di una cultura essenzialmente
sopra-nazionale, ellenistica, comune a tutti questi. Quando infine Roma
fece sparire le entità politiche separate e le trasformò in province
dell'Impero, dette semplicemente forma a quell'omogeneità che di fatto
aveva prevalso da tempo indipendentemente dalle frontiere dinastiche.
Nell'ampia
inquadratura geografica dell'Impero romano, i termini «Oriente» e
«Occidente» assunsero nuovi significati: «Oriente» fu la metà greca del
mondo romano e «Occidente» la metà latina. La metà greca tuttavia
comprese tutto il mondo ellenistico nel quale la Grecia propriamente
detta era divenuta la parte minore; ossia comprese tutta quella parte
dell'eredità di Alessandro che non era ritornata sotto il dominio
«barbarico». Perciò nella prospettiva ingrandita dell'Impero, l'Oriente è
costituito dall'unione di ciò che prima era distinto in Occidente
ellenico e Oriente asiatico.
Nella
divisione di Roma in un Impero d'Oriente e un Impero d'Occidente,
stabilita fin dal tempo di Teodosio, la situazione culturale trovò una
definitiva espressione politica: sotto Bisanzio la metà orientale del
mondo unificata venne finalmente a formare quell'Impero greco che
Alessandro aveva previsto e l'ellenismo aveva reso possibile, sebbene la
rinascita persiana al di là dell'Eufrate ne avesse diminuita
l'estensione geografica. L'analoga divisione della cristianità in una
Chiesa latina e una Chiesa greca riflette e rende stabile la stessa
situazione culturale nel campo religioso.
E'
questa unità spazio-culturale, creata da Alessandro e rappresentata
successivamente dai regni dei Diadochi, dalle province romane orientali,
dall'Impero bizantino, e rispettivamente dalla Chiesa greca, unità
tenuta insieme nella sintesi ellenistico-orientale, che può fornire il
quadro per quei movimenti spirituali che vogliamo trattare in questo
libro. In questo capitolo introduttivo dobbiamo definir lo sfondo
dicendo qualcosa di più sull'ellenismo in genere e chiarendo da una
parte alcuni aspetti delle sue due componenti, ossia Ellade e Asia, e
dall'altra la maniera del loro incontro, della loro unione e dello
sviluppo comune.
a) L'apporto dell'Occidente.
Quali
furono le condizioni storiche e le circostanze dello sviluppo che
abbiamo accennato? L'unità che le conquiste di Alessandro iniziarono,
era stata preparata da entrambe le parti. Oriente e Occidente avevano
precedentemente progredito fino al massimo grado di unificazione,
ciascuno nel suo proprio campo, e naturalmente soprattutto nel campo
politico: l'Oriente era stato unificato sotto la dominazione persiana,
il mondo greco sotto l'egemonia macedone. Perciò la conquista della
monarchia persiana da parte del Macedone fu un evento che coinvolse
tutto «l'Oriente» e tutto «l'Occidente».
Lo
sviluppo culturale non aveva preparato meno ciascuna parte, sebbene in
maniere completamente differenti, per i compiti che erano destinate ad
assumere nella nuova combinazione. Le civiltà possono meglio mescolarsi
quando il pensiero di ciascuna si è sufficientemente emancipato dalle
particolari condizioni ambientali, sociali e nazionali, tanto da
assumere un certo grado di validità generale e quindi divenire
trasmissibile e scambievole. Allora non è più legato a fatti storici
specifici quali la polis ateniese o la divisione della società orientale
in caste, ma si è sviluppato in una forma più libera di princìpi
astratti che può pretendere di applicarsi a tutto il genere umano, che
può essere appresa, può essere sostenuta da argomenti e competere con
altre forme sul terreno della discussione razionale.
- La cultura greca alla vigilia delle conquiste di Alessandro.
All'apparire
di Alessandro, l'Ellade aveva raggiunto, sia di fatto che nella propria
coscienza, lo stadio di maturità cosmopolita, e ciò fu una condizione
positiva del suo successo. Tuttavia nel mondo orientale il successo fu
contrastato da una condizione negativa, nonostante che per oltre un
secolo tutta l'evoluzione della cultura greca era stata in tale
direzione. In realtà, gli ideali di un Pindaro difficilmente avrebbero
potuto essere trapiantati alla corte di un Nabucodonosor o di un
Artaserse o innestati sulle burocrazie dei loro regni.
Fin
dai tempi di Erodoto, il «padre della storia» (quinto secolo a.C.), la
curiosità greca si era interessata alle usanze e alle opinioni dei
«barbari»; ma l'uso ellenico era concepito per i Greci e adatto soltanto
ad essi e tra di loro solo a quelli che erano nati liberi e pienamente
cittadini. Gli ideali morali e politici, e persino l'idea del sapere,
erano legati a definite condizioni sociali e non avevano la pretesa di
applicarsi agli uomini in genere - in realtà il concetto di «uomo in sé»
per scopi pratici non era ancora affiorato. - Tuttavia la riflessione
filosofica e lo sviluppo della civiltà urbana nel secolo precedente ad
Alessandro portò gradualmente al suo sorgere e alla sua formulazione
esplicita.
L'illuminismo
sofistico del quinto secolo aveva contrapposto l'individuo allo Stato e
alle sue norme, e con la concezione dell'opposizione tra natura e legge
aveva privato quest'ultima della sua antica santità non considerandola
che effetto di convenzione: le norme morali e politiche sono relative.
Contro tale sfida scettica, la risposta socratico-platonica si
appellava, in realtà, non alla tradizione, ma alla conoscenza
intellettuale dell'intelligibile, ossia alla storia razionale; e il
razionalismo porta con sé il germe dell'universalismo. I Cinici
predicavano una rivalutazione delle norme esistenti di condotta,
autosufficienza dell'individuo privato, indifferenza ai valori
tradizionali della società, come il patriottismo, e libertà da ogni
pregiudizio. Il declino interno delle antiche città-stato insieme alla
perdita dell'indipendenza esterna finirono di attenuare l'aspetto
particolaristico della loro cultura, mentre rafforzarono la coscienza di
ciò che in essa aveva generale validità spirituale.
In
breve, al tempo di Alessandro l'evoluzione della concezione ellenica di
cultura era giunta al punto in cui era possibile dire che si era greci
non per nascita ma per educazione, cosicché chi era nato barbaro poteva
diventare un vero greco. L'esaltazione della ragione come la parte più
elevata nell'uomo aveva condotto alla scoperta dell'uomo come tale e
nello stesso tempo alla concezione della "maniera" ellenica come cultura
umanistica generale. L'ultimo passo in questo senso fu fatto quando gli
Stoici in seguito affermarono che la libertà, quel bene supremo
dell'etica greca, è una pura qualità interiore, indipendente dalle
condizioni esterne, cosicché vera libertà si può trovare anche in uno
schiavo, purché saggio.
Tutto
ciò che è greco diventa oggetto di un atteggiamento e di una qualità
mentale per cui il parteciparne è possibile ad ogni essere ragionevole,
ossia a tutti gli uomini. La teoria che prevale non pone più l'uomo
principalmente nel contesto della polis, come fecero Platone e ancora
Aristotele, ma in quello del cosmo che viene talvolta chiamato «la vera e
grande polis per tutti». Essere un buon cittadino del cosmo, un
"cosmopolita", è il fine morale dell'uomo; e il diritto a tale
cittadinanza proviene dal possesso del "logos" o ragione, e da niente
altro, cioè da quel principio che distingue l'uomo come tale e lo mette
in rapporto immediato col principio stesso che governa l'universo. Il
pieno sviluppo di tale ideologia cosmopolita fu raggiunto sotto l'Impero
romano, ma essa nei suoi lineamenti essenziali quale stadio
universalistico del pensiero greco era presente già dai tempi di
Alessandro. E questa svolta della mente collettiva ispirò le gesta di
lui e fu a sua volta potentemente rinforzata dal suo successo.
- Cosmopolitismo e nuova colonizzazione greca.
Questa
fu l'ampiezza dello spirito che Alessandro portò in tutto il mondo. Da
allora in poi l'Ellade si trovò dovunque la vita urbana, nelle sue
istituzioni e organizzazioni fioriva sul modello greco. In questa vita
le popolazioni indigene potevano entrare con uguali diritti per mezzo di
un'assimilazione culturale e linguistica.
Il
che segna un'importante differenza dalla primitiva colonizzazione greca
della costa mediterranea che stabilì solo colonie greche ai limiti
dell'esteso territorio «barbaro» e non prese in considerazione la
possibilità di amalgamazione tra coloni e indigeni. La colonizzazione
che seguì, sulle orme di Alessandro, si propose fin da principio, in
realtà come parte del suo programma politico, una simbiosi di un genere
del tutto nuovo, simbiosi che pur essendo un'ellenizzazione dell'Oriente
richiedeva per la sua attuazione una certa reciprocità. Nella nuova
area geopolitica l'elemento greco non era più legato ad una continuità
geografica con la madrepatria e in genere con ciò che era stato una
volta il mondo greco, ma si diffuse in tutta la distesa continentale
dell'Impero ellenistico. A differenza delle primitive colonie, le città
così fondate non erano città-figlie di singole metropoli, ma erano
alimentate dalla riserva della nazione greca cosmopolita. Esse non
mantenevano relazioni né tra loro né con la distante città-madre, ma
ciascuna agiva come un centro di cristallizzazione nel suo proprio
ambiente, ossia in rapporto ai suoi vicini indigeni.
Soprattutto,
queste città non erano più stati sovrani, ma facevano parte di regni
amministrati centralmente. Ciò cambiava il rapporto degli abitanti con
l'insieme politico. La classica città-stato impegnava il cittadino negli
interessi di stato ed egli poteva considerarli come suoi propri, poiché
per mezzo delle leggi della sua città governava se stesso. Le vaste
monarchie elleniche non richiedevano e non permettevano tale
identificazione; e proprio come esse non imponevano ai loro sudditi un
comportamento morale, così l'individuo se ne sentiva distaccato, e come
cittadino privato (condizione difficilmente ammessa nel primitivo mondo
ellenico) poteva soddisfare i suoi bisogni sociali in associazioni
volontarie, basate sulla comunità di idee, religione e occupazione.
I
nuclei delle città di nuova fondazione erano di regola costituiti da
persone di nazionalità greca; ma fin dall'inizio l'annessione di
popolazioni indigene fece parte del piano e del privilegio per cui
ciascuna città sorse. In molti casi tali gruppi di indigeni vennero
trasformati in popolazioni cittadine per la prima volta e quindi in
popolazioni di città organizzate e amministrate in modo autonomo alla
maniera greca.
Quanto
Alessandro stesso abbia compreso appieno la sua politica di fusione
anche in termini razziali, è chiaramente mostrato dalla famosa
celebrazione dei matrimoni di Susa, quando in ossequio alla sua volontà
diecimila dei suoi ufficiali e soldati macedoni sposarono donne
persiane.
- L'ellenizzazione dell'Oriente.
Il
potere assimilatore di un'entità quale la città ellenica deve essere
stato irresistibile. Partecipando alle sue istituzioni e ai suoi modi di
vita, i cittadini non greci subirono una rapida ellenizzazione,
chiaramente visibile nella loro adozione della lingua greca: e ciò
nonostante il fatto che probabilmente all'inizio i non-greci
sorpassavano in numero gli elementi greci o macedoni.
La
susseguente e impressionante crescita di alcune di queste città, come
Alessandria o Antiochia, può essere spiegata soltanto col continuo
afflusso di popolazioni orientali indigene, che tuttavia non mutò il
carattere ellenico delle comunità. Infine sotto il regno dei Seleucidi,
in Siria e Asia Minore, anche città originariamente orientali si
trasformarono in città di tipo greco, adottando la costituzione
corporativa ellenica e introducendo palestre e altre tipiche
istituzioni, e ricevettero dal governo centrale la patente che accordava
i diritti e i doveri di tali città. Fu questa una specie di
rifondazione, che mise in evidenza il progresso dell'ellenizzazione e
nello stesso tempo aggiunse forza ad essa. Oltre alle città anche
l'amministrazione di lingua greca delle monarchie fu naturalmente un
agente ellenizzatore.
L'invito
suggerito dalla formula che si è greci non per nascita ma per
educazione fu accolto con calore dai più responsabili tra i figli del
conquistato Oriente. Già nella generazione seguente ad Aristotele li
vediamo attivi nei santuari stessi della sapienza greca. Zenone, figlio
di Mnaseas (ossia Manasseh), fondatore della scuola stoica, era di
origine fenicio-cipriota: egli apprese il greco come una lingua di
adozione e il suo accento forestiero si fece sempre notare durante la
sua lunga carriera di insegnante ad Atene.
Da
allora sino alla fine dell'antichità, l'Oriente ellenistico produsse
una messe continua di uomini, spesso di origine semita, che sotto nomi
greci e nello spirito e nella lingua greca contribuirono alla civiltà
dominante. Gli antichi centri dell'Egeo rimasero in piedi, ma il centro
di gravità della cultura greca, ormai cultura universale, si era
spostato verso le nuovi regioni. Le città elleniche del Vicino Oriente
ne erano il suo fertile vivaio: tra queste prevaleva Alessandria in
Egitto. E' impossibile determinare nella maggioranza dei casi se un
autore di Apamea o Byblos in Siria, o di Gadara in Transgiordania, fosse
di razza greca o semita, poiché in genere i nomi erano ellenizzati; ma
in queste regioni di fusione dell'ellenismo la questione risulta di
nessuna importanza: una terza entità era nata.
Nelle
città greche di nuova fondazione il risultato della fusione fu greco
fin dal principio. In altri luoghi il processo fu graduale e continuò
nel periodo della tarda antichità: gli individui si convertivano
all'ellenismo come se avessero cambiato il proprio partito o la propria
fede, e ciò si protrasse fino ad un periodo in cui si potevano già
avvertire movimenti di rinascita delle lingue e delle letterature
nazionali. Il primo esempio, in realtà ancronistico, di tale situazione è
dato dagli eventi noti del periodo dei Maccabei in Palestina, nel
secondo secolo a.C. Ancora nel terzo secolo d.C., dopo cinque secoli di
civilizzazione ellenica, troviamo un cittadino dell'antica città di
Tiro, Malco figlio di Malco, divenuto un eminente scrittore greco di
filosofia, il quale a imitazione dei suoi amici ellenici cambiò (o
permise loro di cambiare) il suo nome semitico prima col greco
"Basileus" (1) e in seguito con "Porfirio" (2) manifestando con ciò
simbolicamente la sua adesione alla causa ellenistica e insieme la sua
origine fenicia. Il punto interessante in questo caso sta nel fatto che
contemporaneamente acquistava forza nella sua regione d'origine un
movimento contrario - la creazione di una letteratura in vernacolo
siriaco che è legata ai nomi di Bardesane, Mani ed Ephrem. Tale
movimento e quelli paralleli in altre regioni erano parte del processo
che portava al sorgere delle nuove religioni popolari contro le quali
l'ellenismo era costretto a difendersi.
- Ellenismo posteriore: la trasformazione della cultura profana in cultura religiosa.
Per
la situazione che abbiamo sopra indicato, il concetto di ellenismo subì
un cambiamento significativo. Nella tarda antichità l'universalismo
indiscusso dei primi secoli ellenistici fu sostituito da un'epoca di
nuova differenziazione, fondata principalmente su questioni spirituali e
soltanto secondariamente di carattere nazionale, regionale e
linguistico. La cultura secolare fu sempre più influenzata da un
atteggiamento mentale che si esprimeva in termini religiosi, fino al
punto che si arrivò allo spezzamento della primitiva unità in tanti
campi esclusivi. In queste nuove condizioni, «ellenico», termine usato
come contrassegno all'interno di un mondo già fortemente ellenizzato,
distingueva una causa avversata dai suoi oppositori cristiani o
gnostici, i quali per lingua e forma letteraria facevano non meno parte
dell'ambiente greco.
Su
questo terreno comune ellenismo divenne sinonimo di conservativismo e
si cristallizzò in una definita dottrina nella quale l'intera tradizione
dell'antichità pagana, sia religiosa che filosofica, fu per l'ultima
volta sistematizzata. Sia i suoi aderenti, sia i suoi oppositori
vivevano dappertutto, cosicché il campo di battaglia si estese a tutto
il mondo civilizzato. Ma la marea crescente della religione aveva
assorbito lo stesso pensiero «greco» e trasformato il suo carattere
specifico: la cultura secolare ellenistica si mutò in una cultura con
forte accentuazione pagano-religiosa, sia per sua difesa contro il
cristianesimo sia per sua necessità interna. Ciò significa che in
un'epoca nella quale sorsero le religioni mondiali lo stesso ellenismo
divenne una particolare religione. E fu così che Plotino e ancor più
Giuliano l'Apostata concepirono la loro causa ellenistica, ossia pagana,
che nel neoplatonismo fondò poi una specie di chiesa con i suoi dogmi e
la sua apologetica. L'ellenismo condannato veniva ad assumere l'aspetto
di una causa particolare proprio nel suo terreno di origine.
Nell'ora
del suo crepuscolo il concetto di ellenismo si allargò e si restrinse
nello stesso tempo. Si estese nel senso che nella sua ultima
delimitazione dovette includere, nella tradizione ellenistica da
difendere, anche le creazioni puramente orientali come le religioni di
Mitra o di Attis; si restrinse, perché la sua causa divenne una causa di
partito, e più ancora, quella di un partito di minoranza. Tuttavia,
come è stato detto, tutta la lotta si svolse all'interno del mondo
ellenistico e nell'ambito dell'unica cultura e lingua ellenistica
universale. Cosicché il vincitore ed erede in tale lotta, la Chiesa
cristiana d'Oriente, fu principalmente una Chiesa greca: l'opera di
Alessandro Magno trionfava anche in questa disfatta dello spirito
classico.
- I quattro stadi della cultura greca.
Possiamo
di conseguenza distinguere quattro fasi storiche della cultura greca:
1) prima di Alessandro, la classica fase della cultura nazionale; 2)
dopo Alessandro, l'ellenismo come cultura secolare cosmopolita; 3)
l'ellenismo posteriore come cultura religiosa pagana; 4) il periodo
bizantino come cultura greca cristiana.
Il
passaggio dalla prima alla seconda fase può essere spiegato in gran
parte come uno sviluppo greco autonomo. Nella seconda fase (300 a.C. -
primo sec. a.C.) lo spirito greco fu espresso dalle grandi scuole rivali
di filosofia, l'Accademia, gli Epicurei, e soprattutto gli Stoici,
mentre nello stesso tempo progrediva la sintesi greco-orientale. La
transizione da questa alla terza fase, ossia la trasformazione
dell'antica civiltà come un tutto, e con essa del pensiero greco, in una
forma religiosa, su opera di forze profondamente non greche,
sviluppatesi in Oriente, che entrarono nella storia come fattori nuovi.
Tra il prevalere della cultura secolare ellenistica e la posizione
finale di difesa del tardo ellenismo divenuto religioso si ebbero tre
secoli di movimenti spirituali rivoluzionari che operarono tale
trasformazione e tra i quali occupa un posto preminente il movimento
gnostico. Su di essi ci soffermeremo in seguito.
b) L'apporto dell'Oriente.
Abbiamo
considerato fino ad ora la parte avuta dalla Grecia nella fusione
dell'Oriente e dell'Occidente e a questo intento siamo partiti dalle
condizioni interne che permisero alla cultura ellenica di diventare una
civiltà mondiale in seguito alle conquiste di Alessandro. Tali
condizioni erano naturalmente controbilanciate da condizioni analoghe
dalla parte orientale, ciò che spiega la parte avuta dall'Oriente nella
combinazione cui abbiamo accennato: la sua apparente o reale passività,
docilità e disposizione all'assimilazione.
L'assoggettamento
militare e politico soltanto non è sufficiente a spiegare il corso
degli eventi, come può mostrare il paragone con altre conquiste, lungo
tutta la storia, di zone di elevata cultura, dove spesso il vincitore
soccombe culturalmente al vinto. Si potrebbe persino porre la domanda se
un senso più profondo, o almeno parzialmente, qualcosa del genere non
sia avvenuto nel caso dell'ellenismo; ma ciò che è manifesto a prima
vista è l'indiscusso ascendente della parte greca, il che determinò se
non altro la forma di ogni futura espressione culturale.
Qual
era dunque la condizione del mondo orientale alla vigilia della
conquista di Alessandro, che possa spiegare il suo soccombere
all'espansione della cultura greca? E in qual forma sopravvissero le
originarie energie orientali e si espressero nelle nuove condizioni
create dall'ellenismo? Perché naturalmente questo grande Oriente con le
sue antiche e orgogliose civiltà non fu soltanto una materia grezza per
la forma greca. Entrambe le questioni, quella riguardante le condizioni
antecedenti e quella riguardante la maniera di sopravvivenza, sono
estremamente più difficili da spiegare per la parte orientale di quanto
non lo fossero le questioni analoghe per la parte greca. Eccone le
ragioni.
In
primo luogo, per il periodo precedente ad Alessandro ci troviamo in
possesso di pochissimi documenti orientali, eccetto la letteratura
ebraica, in contrasto con la ricchezza delle fonti greche. Questo fatto
negativo tuttavia, se può essere un segno di sterilità letteraria, è
pure una testimonianza storica che conferma quanto si può dedurre dalle
fonti greche circa lo stato contemporaneo delle nazioni orientali.
Inoltre,
questo vasto Oriente, unificato sotto l'Impero persiano, solo con la
forza, era molto lontano dal costituire un'unità culturale come il mondo
greco. La Grecia era la medesima dappertutto, mentre l'Oriente
differiva da regione a regione. Perciò la risposta alla domanda sui
presupposti culturali dovrebbe essere suddivisa in tante parti quante
furono le entità culturali da considerare. Questo fatto complica inoltre
il problema dell'ellenismo stesso per quanto riguarda la componente
orientale. Infatti Gustav Droysen, il creatore del termine «ellenismo»
per la sintesi greco-orientale postalessandrina, ha definito egli stesso
il termine spiegando che in realtà fiorirono tanti generi diversi di
ellenismo quante furono le individualità nazionali differenti. In molti
casi tuttavia questi fattori locali ci sono poco conosciuti nella loro
forma originale. Ciò nondimeno la generale omogeneità dello sviluppo
ellenistico susseguente induce a pensare che vi fosse ovunque una certa
somiglianza di condizioni. In realtà, a parte l'Egitto, è possibile
distinguere nell'Oriente preellenico alcune tendenze universalistiche,
inizi di sincretismo spirituale, che possono essere considerate come
l'equivalente dell'atteggiamento cosmopolita della mente greca. Ne
diremo di più in seguito.
Infine,
nel periodo dopo Alessandro la supremazia della civiltà panellenica
significò precisamente che l'Oriente stesso, se aspirava a
un'espressione culturale, doveva esprimersi nella lingua e nella maniera
greca. Di conseguenza, il riconoscere queste occorrenze di espressione
come voci dell'Oriente nella totalità della letteratura ellenistica
molto spesso per noi è questione di una distinzione sottile e non sempre
inequivocabilmente dimostrabile: in altre parole, la condizione creata
dall'ellenismo è essa stessa ambigua. Tratteremo più avanti
l'interessante problema metodologico che ne deriva.
Sono,
queste, alcune difficoltà che si incontrano nel tentativo di chiarire
il quadro rappresentato dalla metà orientale di quel duplice fatto che
abbiamo chiamato ellenismo. E' possibile tuttavia ricavarne un'idea
generale, anche se parzialmente congetturale, e ne diremo brevemente
quanto necessario per il nostro scopo. Innanzi tutto un breve cenno
sulle condizioni del mondo orientale alla vigilia della conquista greca
che ne mette in evidenza, in primo luogo, l'inerzia letargica e in
secondo luogo la lentezza del suo risveglio.
- L'Oriente alla vigilia delle conquiste di Alessandro.
"Apatia
politica e stasi culturale". Politicamente, questa condizione fu
determinata dal susseguirsi di imperi dispotici che avevano pervaso
l'Oriente nei secoli che precedettero. I loro metodi di conquista e di
governo avevano spezzato la resistenza politica delle popolazioni locali
e le avevano abituate ad accettare passivamente ogni nuovo padrone che
saliva al potere nell'alternarsi degli imperi. I destini del potere
centrale erano un fato ineluttabile per i popoli soggetti, i quali
venivano trascinati nel gorgo insieme alle rovine di esso. In un tempo
posteriore, la visione di Daniele dei quattro regni riflette ancora
questo atteggiamento passivo dei popoli orientali di fronte al
succedersi dei poteri politici. Così avvenne che tre battaglie che
spezzarono la forza militare della monarchia persiana consegnarono nelle
mani del vincitore un enorme impero formato di innumerevoli popoli
divenuti tutti estranei all'idea di un'autodeterminazione e che non
sentivano nemmeno il bisogno di avere un peso nelle decisioni. La sola
seria resistenza di natura popolare che Alessandro incontrò fu quella di
Tiro e Gaza, le quali dovettero essere sottomesse con un lungo e
prolungato assedio. Tale eccezione non fu puro caso: la città fenicia - e
il caso di Gaza fu probabilmente simile - nonostante la sua condizione
di vassalla del Grande Re, era una città sovrana e i suoi cittadini
lottarono per una loro causa durante il lungo periodo di rivalità
greco-fenicia per la conquista del dominio marittimo.
L'apatia
politica fu uguagliata da un ristagno culturale proveniente in parte da
cause differenti. Nei vecchi centri della civiltà orientale
sull'Eufrate e sul Nilo, che prima dell'epoca persiana erano anche
centri del potere politico, ogni movimento intellettuale, dopo parecchi
millenni di esistenza, si arrestò e rimase soltanto l'inerzia di
formidabili tradizioni. Non possiamo qui addentrarci in spiegazioni che
ci condurrebbero fuori dalla nostra strada; notiamo semplicemente il
fatto, che particolarmente nel caso dell'Egitto è del tutto ovvio.
Possiamo tuttavia far osservare che quell'immobilità che le nostre
preferenze dinamiche ci portano a disprezzare come un segno di
pietrificazione potrebbe anche essere considerata come un segno della
perfezione raggiunta da un sistema di vita, considerazione che può bene
applicarsi all'Egitto.
Inoltre,
l'abitudine assira e babilonese di espatriare e trapiantare intere
popolazioni conquistate, o per meglio dire gli strati più elevati
socialmente e culturalmente, avevano distrutto le energie di crescita
culturale in molte regioni intorno ai vecchi centri. Tale destino aveva
colpito in molti casi popolazioni di giovane età culturale che dovevano
ancora sviluppare la loro potenzialità. Per la facilità di manovra
imperiale così guadagnata, il potere centrale ci rimetteva l'inaridirsi
delle sorgenti potenziali della propria rigenerazione. Senza dubbio è
questa una delle ragioni del torpore degli antichi centri che abbiamo
sopra ricordato: avendo spezzato le forze vitali nazionali e regionali
in tutto il regno, essi avevano, per così dire, fatto intorno a sé il
deserto e in tali condizioni il potere centrale rimasto isolato non
poteva più ricorrere a quelle influenze rigeneratrici che possono
provenire dal basso. Ciò può spiegare in parte lo stato di paralisi nel
quale l'Oriente si trovava prima di Alessandro e dal quale fu liberato
per opera dello spirito vivificante dell'ellenismo.
"Inizi
del sincretismo religioso". Tale stato di cose tuttavia conteneva anche
alcuni aspetti positivi per la funzione che l'Oriente doveva svolgere
nell'età ellenistica. Non fu tanto la prevalente passività, la mancanza
di forze operanti una resistenza cosciente, che facilitarono
l'assimilazione. L'indebolimento stesso di aspetti strettamente locali
di civiltà indigene rimosse molti ostacoli che avrebbero potuto opporsi
alla formazione di una sintesi più ampia e rese così possibile
l'introduzione di questi elementi culturali nel patrimonio comune. Lo
sradicamento e il trapianto di intere popolazioni in particolare ebbe
due effetti rilevanti. Da un lato, favorì il distacco dei contenuti
culturali dal loro terreno nativo, la loro astrazione in forme
trasmissibili di dottrina e la conseguente possibilità di essere usati
come elementi in uno scambio di idee su scala mondiale, appunto come ne
poteva far uso l'ellenismo. Dall'altro, favorì un sincretismo
preellenistico, l'apparizione di divinità e culti di origini diverse e
talvolta molto distanti, che fu l'anticipazione di un'importante
caratteristica dello sviluppo ellenistico susseguente.
La
storia biblica ci offre esempi di entrambi questi processi. La prima
descrizione della genesi di un sincretismo religioso intenzionale si
trova nel racconto del "II Re" [ = IV Re della Volgata], 17, 24-41,
riguardo ai nuovi abitanti fatti stabilire dal re d'Assiria nella città
evacuata di Samaria, quella storia ben nota dell'origine della setta
samaritana che termina con le parole:
«Così
quelle genti temevano il Signore e servivano i loro idoli; i loro figli
e nipoti continuano a fare oggi come hanno fatto i loro padri» [17,
41].
Il
sincretismo religioso su scala mondiale diventerà in seguito una
caratteristica decisiva dell'ellenismo: qui ne vediamo gli inizi
nell'Oriente stesso.
"Inizi
dell'astrazione teologica nella religione ebraica, babilonese e
persiana". Ancora più importante è l'altro sviluppo che abbiamo
ricordato, la trasformazione del contenuto sostanziale delle varie
culture locali in ideologie. Per citare un altro classico esempio della
Bibbia, l'esilio di Babilonia costrinse gli Ebrei a sviluppare
quell'aspetto della loro religione la cui validità trascendeva le
particolari condizioni della Palestina, e ad opporre la loro fede così
purificata agli altri princìpi religiosi del mondo nel quale erano stati
gettati. Ciò portò ad un confronto di idee con idee. Nella seconda
parte del libro di Isaia si constata come tale situazione fosse già
pienamente avvertita; Isaia enunzia il puro principio del monoteismo
come causa del mondo, liberato dalle limitazioni specificamente
palestinesi del culto di Jahvè. Così la deportazione stessa portò a
compimento un processo che in realtà era iniziato al tempo degli antichi
profeti.
Sebbene
il caso ebraico sia stato unico nella storia, si possono notare
sviluppi paralleli anche altrove nella disintegrazione politica
dell'Oriente o possono essere dedotti dal seguito degli eventi. Così,
dopo la conquista di Babilonia da parte dei Persiani, l'antica religione
babilonese non fu più culto di stato unito al potere centrale e legato
alle sue funzioni di governo. Come una delle istituzioni della
monarchia, essa aveva goduto uno stato ufficiale ben definito e tale
connessione con la struttura locale del potere secolare aveva sostenuto,
ma al tempo stesso limitato, la sua funzione. Con la perdita di questa
condizione, sia il sostegno che la limitazione svanirono. La liberazione
della religione dalla funzione politica fu uno sradicamento
paragonabile a quello territoriale subìto da Israele.
La
condizione di soggezione e di impotenza politica nell'Impero persiano
obbligò la religione babilonese a poggiare da allora in poi soltanto sui
propri valori spirituali. Non più collegata alle istituzioni di un
sistema di governo e non usufruendo del prestigio della sua autorità,
essa dovette riporre fiducia soltanto sulle sue intrinseche qualità
"teologiche" che avevano bisogno di una precisa formulazione per potersi
mantenere di fronte ad altri sistemi religiosi, i quali pure erano
stati portati a galla ed erano pronti a competere per la loro influenza
sullo spirito degli uomini. La perdita di uno stabile regime politico
portò alla liberazione del contenuto spirituale. Divenendo materia di
speculazione, il principio generalizzato acquistò vita propria e
sviluppò le sue implicazioni astratte. Possiamo discernere qui l'azione
di una legge storica che ci aiuta a comprendere molti sviluppi di
pensiero della tarda antichità. Nel caso della religione di Babilonia, è
evidente il successo di questo movimento verso l'astrazione nella sua
forma posteriore quando emerse nella piena luce dell'ellenismo. Nello
svolgimento unilaterale delle sue originali caratteristiche astrali,
l'antico culto si trasformò in una dottrina astratta, il sistema
razionale dell'"astrologia", che per il semplice richiamo del suo
contenuto di pensiero, presentato nella forma greca, divenne una grande
forza nel mondo di idee ellenistico.
In
modo analogo, per citare un ultimo esempio, l'antica religione persiana
del mazdeismo si distaccò dal nativo suolo iranico. Trasportata in
tutte le regioni dalla Siria all'India dalla nazione dominante,
numericamente esigua, si trovò in una posizione in certo modo
cosmopolita nel mezzo della pluralità di religioni dell'Impero persiano.
In seguito alla caduta dell'Impero perse insieme al favore anche
l'odiosità di un governo straniero e da allora in poi condivise con le
altre fedi i pesi e i vantaggi della diaspora nelle religioni fuori
della Persia. Anche qui vediamo che dall'insieme di tradizioni nazionali
non ben definite venne fuori un principio di indubbio fondamento
metafisico, il quale poi si sviluppò in un sistema che aveva un
significato intellettuale universale: il sistema del dualismo teologico.
Il contenuto di questa dottrina dualistica, generalizzato, divenne una
delle idee-forza più efficaci nel sincretismo ideologico dell'ellenismo.
Nella Persia stessa la reazione nazionale che portò successivamente
alla formazione del regno parto e di quello neopersiano fu preparata e
accompagnata da una restaurazione religiosa, la quale a sua volta fu
obbligata a sistematizzare e dogmatizzare il contenuto dell'antica
religione popolare; processo in certo modo analogo alla creazione
contemporanea del Talmud. Così, sia in patria che nella diaspora le
condizioni mutate produssero un risultato simile: la trasformazione
della religione tradizionale in un sistema teologico le cui
caratteristiche possono essere avvicinate a quelle di una dottrina
razionale.
Possiamo
supporre che processi simili si siano avuto in tutto l'Oriente,
processi attraverso i quali le credenze originariamente nazionali e
locali venivano preparate a diventare elementi di uno scambio
internazionale di idee. L'orientamento generale di tali processi era
volto ad una dogmatizzazione, nel senso che un principio veniva astratto
dall'insieme della tradizione e sistemato in una dottrina coerente.
L'influenza greca fornì sia l'impulso che gli strumenti logici e portò a
maturità tale processo dappertutto; ma, come abbiamo cercato di
dimostrare, l'Oriente stesso alla vigilia dell'ellenismo aveva iniziato
ciò in casi significativi. I tre esempi che abbiamo citato sono stati
scelti con un intento particolare: il monoteismo ebraico, l'astrologia
babilonese e il dualismo persiano furono con molta probabilità le tre
principali forze spirituali che l'Oriente dette come contributo alla
configurazione dell'ellenismo, ed esse ne influenzarono sempre più lo
svolgimento successivo.
Questo
può bastare a proposito di quelle che abbiamo chiamato «precondizioni».
Vogliamo soltanto sottolineare il fatto che la prima civiltà
cosmopolita nota alla storia, perché si può considerare così la civiltà
ellenistica, fu resa possibile dalle catastrofi che si abbatterono
sull'unità originaria delle civiltà regionali. Senza la rovina di stati e
nazioni, il processo di astrazione e di scambio non sarebbe avvenuto su
così vasta scala. Ciò è vero, per quanto meno evidente, anche per la
Grecia dove la decadenza politica della polis, questo fattore più
intensivo di informazioni particolaristiche, aveva fornito una
precondizione relativamente negativa. Soltanto nel caso dell'Egitto che
abbiamo tralasciato nella nostra rassegna, le condizioni furono
completamente differenti. In generale, tuttavia, fu dall'Asia, sia
semitica che iranica, che sorsero le forze attivamente operanti insieme
con l'eredità greca nella sintesi ellenistica: perciò limitiamo la
nostra analisi alle condizioni asiatiche.
- L'Oriente durante l'ellenismo.
Dopo
esserci soffermati sulle precondizioni, ci resta ora da considerare
brevemente il destino dell'Oriente durante la nuova economia
dell'ellenismo. La prima cosa che dobbiamo notare è che l'Oriente
divenne silenzioso per molti secoli e fu quasi invisibile nella luce
predominante del giorno ellenico. Per quanto riguarda gli avvenimenti
che si susseguirono dal primo secolo d.C. in poi, possiamo chiamare
questo periodo iniziale il periodo latente della mente orientale e in
base a tale osservazione possiamo stabilire una divisione dell'età
ellenistica in due distinti periodi: il periodo di manifesta
predominanza greca e di sommersione orientale, e il periodo di reazione
di un Oriente rinascente che avanzò vittoriosamente contro l'Occidente
in una specie di contrattacco spirituale e riformò la cultura
universale. Stiamo evidentemente parlando di eventi di ordine
intellettuale e non politico. In questo senso, l'ellenizzazione
dell'Oriente prevalse nel primo periodo, l'orientalizzazione
dell'Occidente nel secondo e quest'ultimo processo ebbe termine intorno
al 300 d.C. Il risultato dei due processi insieme è una sintesi che si
protrasse lungo tutto il Medio Evo.
"L'Oriente
sommerso". Possiamo considerare brevemente il primo periodo. E' l'epoca
dei regni dei Seleucidi e dei Tolomei, caratterizzata particolarmente
dal fiorire di Alessandria. L'ellenismo trionfava ovunque in Oriente e
costituiva la cultura generale, i cui canoni di pensiero e di
espressione erano adottati da chiunque desiderasse partecipare alla vita
intellettuale di quel periodo. Soltanto la voce greca si faceva udire:
qualsiasi composizione letteraria era in quella lingua. In
considerazione di ciò che abbiamo detto circa l'immissione degli
orientali nella corrente di vita intellettuale greca, il silenzio
dell'Oriente non può essere interpretato come una mancanza di vitalità
intellettuale da parte degli individui, ma piuttosto come un non voler
parlare per sé, in nome proprio. Chiunque avesse qualcosa da dire non
aveva altra scelta che esprimerla in greco, non soltanto come lingua ma
anche come concetti, idee, forme letterarie, cioè come parte ostensibile
della tradizione greca.
Indubbiamente
la civiltà ellenistica, aperta e ospitale, si offriva alle creazioni
della mente orientale, una volta che queste avevano assunto la forma
greca. Perciò l'unità formale di questa cultura abbracciava di fatto una
pluralità, anche se, per così dire, sempre sotto l'etichetta ufficiale
greca. Per quanto riguarda l'Oriente la situazione produsse una specie
di mimetismo, che ebbe conseguenze di grande portata per tutto il suo
futuro.
La
mentalità greca da parte sua non poteva non rimanere influenzata: fu
appunto la costatazione della differenza tra ciò che veniva chiamato
«greco» prima e dopo Alessandro che spinse Droysen ad introdurre il
termine «ellenistico» in contrapposizione al classico «ellenico».
«Ellenistico» voleva significare non soltanto l'allargamento della
civiltà della polis in una civiltà cosmopolita e le trasformazioni
inerenti a questo processo, ma anche il cambiamento di carattere
derivato dall'accoglienza delle influenze orientali di questa totalità
ampliata.
Tuttavia
l'anonimità dei contributi orientali rende difficile l'identificazione
di codeste influenze nel primo periodo. Uomini come Zenone, che abbiamo
ricordato precedentemente, non volevano essere altro che elleni, e la
loro assimilazione fu tanto completa quanto poteva esserlo. La filosofia
in genere seguì le orme tracciate dalle originarie scuole greche; ma
verso la fine del periodo, circa due secoli dopo Zenone, cominciò a
mostrare segni significativi di cambiamento nel suo sviluppo fino a quel
momento autonomo. I segni all'inizio non sono punto chiari. La
controversia tuttora esistente riguardo a Posidonio di Apamea (circa
135-50 a.C.) illustra bene la difficoltà di una facile attribuzione di
influenze e in generale l'incertezza su ciò che in questo periodo è
greco in modo genuino e ciò che è colorito di orientalismo. L'ardente
pietà astrale che pervade la sua filosofia è un'espressione della
mentalità orientale o no? Sia l'una che l'altra tesi possono essere
sostenute e probabilmente continueranno ad esserlo, sebbene non
sussistano dubbi che a suo giudizio il suo pensiero era realmente greco,
che poi egli fosse o no greco di nascita.
Ciò
che è stato detto per questo singolo caso, lo si può dire per il quadro
generale: non è possibile chiedere una certezza maggiore di quella che
comporta la natura complessa della situazione. Di fronte alla singolare
anonimità, che potremmo persino chiamare pseudonimia, che riveste
l'elemento orientale dobbiamo accontentarci dell'impressione generale
che influenze orientali fossero all'opera, nel senso più ampio,
nell'area del pensiero greco durante questo periodo.
Un
caso più evidente è offerto dalla crescente letteratura sulla «sapienza
dei barbari» che fece la sua apparizione nelle lettere greche: a lungo
andare non rimase una materia di puro interesse di cose antiche, ma
assunse gradualmente un carattere di propaganda. L'iniziativa di autori
greci in questo campo fu accolta dagli antichi centri dell'Oriente,
Babilonia ed Egitto, da sacerdoti indigeni che si dettero a comporre in
lingua greca resoconti delle loro storie e culture nazionali. I più
antichi potevano sempre contare su una rispettosa curiosità da parte del
pubblico greco, ma poiché questa fu sempre più accompagnata da
accoglienza verso gli stessi contenuti spirituali, i ricercatori di cose
antiche furono incoraggiati a trasformarsi in maestri e predicatori.
Il
più importante contributo, tuttavia, dato dall'Oriente alla cultura
ellenistica in questo periodo non fu nel campo della letteratura, ma in
quello del culto: il "sincretismo" religioso che divenne il fatto più
decisivo nell'ultima fase cominciò a prendere forma in questo primo
periodo dell'età ellenistica. Il significato del termine «sincretismo»
può essere esteso, e generalmente lo è, ad indicare fenomeni mondani; in
questo caso infatti tutta la civiltà ellenistica può essere chiamata
sincretistica, in quanto gradualmente divenne una cultura eterogenea. In
senso stretto però sincretismo denota un fenomeno religioso che
l'antico termine «teocràsi», ossia mescolanza degli dèi, esprime in modo
più adeguato. E' questo un fenomeno dominante del periodo, per il quale
noi non abbiamo un esatto parallelo nella nostra esperienza
contemporanea, per quanto al corrente di mescolanze di idee e valori
culturali.
Fu
l'estensione sempre maggiore e la profondità di questo processo che
causò il passaggio dal primo al secondo periodo dell'ellenismo, quello
religioso-orientale. La teocràsi si espresse sia nel mito che nel culto
ed uno dei suoi strumenti logici più importanti fu l'allegoria, della
quale si era servita anche la filosofia nelle sue relazioni con
religione e mito. Tra tutti i fenomeni che abbiamo notati in questa
descrizione del primo periodo dell'ellenismo, è appunto in quello
religioso che l'Oriente si è mostrato più attivo e più se stesso. Il
prestigio crescente di dèi e culti orientali nel mondo occidentale
annunziò la funzione che l'Oriente doveva svolgere nel secondo periodo,
quando il comando passò nelle sue mani. Fu una funzione religiosa,
mentre il contributo greco all'insieme ellenistico fu quello della
cultura secolare. In sintesi, possiamo affermare che la prima metà
dell'ellenismo, che durò fino al tempo di Cristo, è caratterizzata
soprattutto da questa cultura greca secolare. Per l'Oriente è un periodo
di preparazione per il suo risorgere, paragonabile ad un periodo di
incubazione. Possiamo soltanto indovinare dalla sua seguente improvvisa
rinascita quanto profonde dovettero essere le trasformazioni avvenute in
questo periodo sotto la superficie ellenistica. A parte l'unica
eccezione importante della rivolta dei Maccabei, non vi è quasi segno di
affermazione orientale nell'orbita ellenistica durante il periodo che
va da Alessandro a Cesare. Oltre i confini, la fondazione del regno dei
Parti e la rinascita del mazdeismo rappresentano casi analoghi a quello
ebraico. Tali eventi non alterano molto il quadro generale dell'Ellade
come parte assimilatrice e dell'Oriente come parte assimilata durante
tutto questo periodo.
"Concettualizzazione
greca del pensiero orientale". Tuttavia questo periodo di vita latente
ebbe un profondo significato nella storia della vita dell'Oriente
stesso. Il monopolio greco di ogni forma di espressione intellettuale
ebbe per lo spirito orientale un doppio aspetto di soppressione e di
liberazione: soppressione perché questo monopolio lo privò del suo mezzo
originario e lo obbligò a dissimulare i propri contenuti sotto una
diversa espressione; liberazione perché la forma concettuale greca offrì
alla mente orientale una possibilità completamente nuova di portare
alla luce la sua eredità propria.
Abbiamo
visto che il sorgere di princìpi spirituali di comunicabilità generale
fuori della massa delle tradizioni popolari s'era iniziato alla vigilia
dell'ellenismo; ma fu con i mezzi logici forniti dallo spirito greco che
tale processo giunse a compimento. Perché la Grecia aveva scoperto il
"logos", il concetto astratto, il metodo di espressione teorica, il
sistema razionale, una delle maggiori scoperte nella storia del pensiero
umano. Questo strumento formale applicabile a qualsiasi contenuto,
l'ellenismo lo mise a disposizione dell'Oriente, la cui autoespressione
poteva ora trarre beneficio da esso. L'effetto, ritardato nelle sue
manifestazioni, fu incalcolabile. Il pensiero orientale era stato non
concettuale, espresso in immagini e simboli, più incline a travestire i
suoi oggetti ultimi in miti e riti anziché esprimerli logicamente.
Rimaneva costretto nella rigidità dei suoi antichi simboli e da questo
imprigionamento fu liberato dal soffio vivificante del pensiero greco,
che dette un impeto nuovo e nello stesso tempo strumenti adatti ad
esprimere quella tendenza all'astrazione che già precedentemente era
all'opera.
In
fondo il pensiero orientale rimase mitologico, come apparve chiaramente
quando si presentò di nuovo al mondo; ma aveva imparato nel frattempo a
manifestare le sue idee sotto forma di "teorie" e ad usare concetti
razionali, anziché impiegare per esprimerle soltanto immagini sensibili.
In tal modo con l'aiuto della concettualizzazione greca si ebbe la
definitiva formulazione dei sistemi del dualismo, del fatalismo
astrologico e del monoteismo trascendente. Avendo acquistato la
condizione di dottrine metafisiche essi acquistarono corso generale e il
loro messaggio poté essere rivolto a tutti. Perciò lo spirito greco
liberò il pensiero orientale dalla schiavitù del suo stesso simbolismo e
lo mise in grado di scoprire se stesso nella riflessione del "logos". E
fu precisamente con le armi tolte dall'arsenale greco che l'Oriente
quando venne il suo momento lanciò la sua controffensiva.
"Il
«sottofondo» orientale". Naturalmente in uno sviluppo di questo tipo
non si presentano solo circostanze favorevoli, ma vi sono anche connessi
dei pericoli che minacciarono la sostanza genuina del pensiero
orientale. Anzitutto ogni generalizzazione o razionalizzazione la si
sconta con la perdita di specificità. In particolare, l'influenza greca
indusse i pensatori orientali a trarre profitto dal prestigio di tutto
quello che era greco e ad esprimere le loro idee non in maniera diretta,
ma sotto il travestimento di altre analoghe prese dalla tradizione
greca di pensiero. Così, per esempio, il fatalismo astrologico e la
magia furono rivestiti degli ornamenti della cosmologia stoica con le
sue dottrine di simpatia cosmica e di legge cosmica; il dualismo
religioso assunse la veste del platonismo. Per la mentalità incline
all'assimilazione ciò fu un progresso, ma lo scimmiottare così iniziato
impedì un'ulteriore crescita della mente orientale e presenta inoltre
specifiche difficoltà di interpretazione per lo storico. Il fenomeno che
Oswald Spengler ha chiamato «pseudomorfismo», con un termine preso
dalla mineralogia, richiamerà in seguito la nostra attenzione (confronta
cap. 1, d).
Ci
fu un altro effetto, forse ancora più profondo, che l'ascendente della
Grecia ebbe sulla vita interiore dell'Oriente, effetto che divenne
manifesto soltanto più tardi: la divisione dello spirito orientale che
si mosse in un doppio piano, uno di superficie e l'altro di profondità,
venendosi a formare una tradizione pubblica e una tradizione segreta.
Perché la forza del modello greco non ebbe solo un effetto stimolante,
ma anche un effetto repressivo. Le sue norme selettive agirono come un
filtro: ciò che era suscettibile di ellenizzazione passava e guadagnava
un posto in piena luce, cioè diveniva parte dello strato superiore
articolato della cultura cosmopolita; il rimanente, ciò che era
radicalmente diverso e inassimilabile, restava escluso e continuava una
propria vita sotterranea. Questo «altro» non poteva sentirsi
rappresentato dalle creazioni convenzionali del mondo letterario, non
poteva riconoscersi nel messaggio generale.
Per
opporre il suo messaggio a quella dominante dovette trovare un suo
linguaggio e il trovarlo fu un processo che costò lunga fatica. Per la
natura delle cose, furono le tendenze più genuine e originali dello
spirito orientale, quelle del futuro piuttosto che del passato, che
furono costrette a tale condizione di esistenza sotterranea.
Il
monopolio spirituale della Grecia perciò causò la crescita di un
Oriente invisibile la cui vita segreta formò una corrente nascosta
antagonistica, al di sotto della superficie della pubblica civiltà
ellenistica. Processi di profonda trasformazione, indirizzi nuovi di
ampia portata, devono aver preso le mosse durante questo periodo di
sommersione. Non possiamo naturalmente conoscerli, e tutta la nostra
descrizione, fondata come è su semplici congetture, sarebbe priva di
fondamento se non fosse per l'improvvisa ricomparsa di un nuovo Oriente
di cui abbiamo testimonianza all'inizio della nuova èra e dalla cui
forza e ampiezza possiamo trarre conseguenze riguardo alla sua
incubazione.
- La ricomparsa dell'Oriente.
Ciò
che in realtà noi costatiamo è un'esplosione dell'Oriente nel periodo
che coincide grosso modo con gli inizi del cristianesimo. Come acque
lungamente trattenute, le sue forze ruppero la crosta ellenistica e
inondarono il mondo antico, scorrendo nelle forme greche già stabilite,
riempiendole del loro contenuto, e creando inoltre letti loro propri.
S'iniziava
la metamorfosi dell'ellenismo in una cultura religiosa orientale. Il
momento dell'irrompere fu probabilmente determinato da due condizioni
complementari, la maturazione dello sviluppo sotterraneo dell'Oriente
che lo mise in grado di emergere alla piena luce del giorno, e la
preparazione dell'Occidente ad un rinnovamento religioso, anzi, il
bisogno di esso profondamente sentito, che aveva il suo fondamento nella
condizione spirituale di quel mondo e lo dispose a rispondere con
ardore al messaggio dell'Oriente. Questa relazione complementare di
attività e ricettività non è dissimile da quella opposta che s'impose
tre secoli prima quando la Grecia avanzò in Oriente.
"La
novità del pensiero orientale risorto". E' importante riconoscere che
negli eventi accennati non siamo in presenza di una reazione del
"vecchio" Oriente, ma di un fenomeno nuovo che entrò in quel momento
cruciale nel teatro della storia. Il «vecchio Oriente» era morto. Il
nuovo risveglio non significò una resurrezione classicista della sua
antica eredità. E nemmeno la più recente concettualizzazione del
primitivo pensiero orientale fu la reale sostanza del movimento. Il
dualismo tradizionale, il fatalismo astrologico tradizionale, il
monoteismo tradizionale vi furono tutti conglobati, ma erano connessi
insieme in modo così particolarmente nuovo che nella loro presente
formulazione erano a servizio della rappresentazione di un nuovo
principio spirituale; e la stessa cosa si può dire dell'uso dei termini
filosofici greci. E' necessario sottolineare questo fatto fin dal
principio a causa della forte tendenza a negarlo creata dalle apparenze
esteriori, che per lungo tempo hanno fuorviato gli storici portandoli a
considerare la struttura di pensiero con la quale si trovavano a
confronto come formata semplicemente dai residui delle vecchie
tradizioni, tranne per la sua parte di contenuto cristiano.
Queste
vecchie tradizioni di fatto appaiono tutte nella nuova corrente
spirituale: simboli dell'antico pensiero orientale, anzi tutta intera la
sua eredità mitologica; idee e figure prese dal patrimonio biblico;
elementi dottrinali e termini presi dalla filosofia greca,
particolarmente dal platonismo. Si deve alla situazione di sincretismo
se questi elementi diversi si trovarono disponibili e poterono essere
combinati a volontà. Ma il sincretismo stesso fornì soltanto l'aspetto
esteriore e non l'essenza del fenomeno. L'aspetto esteriore risulta
confuso a causa della sua natura composita e più ancora per
l'associazione dei vecchi nomi. Tuttavia, sebbene tali associazioni non
siano affatto irrilevanti, è possibile distinguere un nuovo centro
spirituale intorno al quale ora si cristallizzano gli elementi della
tradizione, l'unità al di là della loro molteplicità; e questa è la vera
realtà, con la quale siamo messi a confronto, piuttosto che i mezzi
sincretistici di espressione. Se consideriamo questo centro spirituale
come una forza autonoma allora possiamo dire che esso usa quegli
elementi piuttosto che essere costituito dalla loro mescolanza; e la
totalità che in tal modo prende origine deve essere intesa, nonostante
il suo carattere manifestamente sincretistico, non come prodotto di un
qualunque eclettismo, ma come un sistema di idee originale e distinto.
Tuttavia
questo sistema come tale deve essere tratto dalla massa di materiali
disparati, i quali permetteranno la separazione soltanto se eseguita con
una interrogazione appropriata, ossia con un'interpretazione già
guidata dalla precedente conoscenza della sottostante unità. Non si può
negare che la dimostrazione così ottenuta cada in una specie di circolo
vizioso, e nemmeno si può negare l'elemento soggettivo incluso
nell'anticipazione intuitiva del fine verso cui deve muovere
l'interpretazione. Tale è tuttavia la natura e il rischio
dell'interpretazione storica che riceve suggerimenti da un'impressione
iniziale del materiale e trova la sua conferma solo nel risultato, la
sua possibilità di convincimento o plausibilità, e soprattutto nella
progressiva conferma delle cose che prendono il loro posto quando sono
messe a contatto con il modello ipotetico.
"Principali
manifestazioni dell'ondata orientale nel mondo ellenistico". Dobbiamo
ora enumerare brevemente i fenomeni nei quali l'ondata orientale si è
manifestata nel mondo ellenistico dall'inizio circa dell'èra cristiana
in poi. Ecco i principali: l'espansione del giudaismo ellenistico, e in
modo particolare il sorgere della filosofia giudaico-alessandrina; la
diffusione dell'astrologia babilonese e della magia, che coincise con un
generale aumento del fatalismo nel mondo occidentale; la diffusione di
differenti culti misterici orientali in tutto il mondo
ellenistico-romano e la loro evoluzione in religioni misteriche
spirituali; il sorgere del cristianesimo; la fioritura di movimenti
gnostici, con i loro grandi sistemi, all'interno e all'esterno della
struttura cristiana; e le filosofie trascendentali della tarda
antichità, a cominciare dal neopitagorismo fino alla scuola
neoplatonica.
Tutti
questi fenomeni, per quanto distinti, si possono dire in senso lato
collegati tra loro. I loro insegnamenti hanno importanti punti in comune
e persino nelle loro divergenze partecipano di uno stesso clima di
pensiero; la letteratura di ognuno può completare la nostra conoscenza
degli altri. Più evidente dell'affinità della sostanza spirituale è la
ricorrenza di modelli tipici di espressione, di immagini specifiche e
formule, in tutta la letteratura dell'intero gruppo. In Filone di
Alessandria oltre gli elementi platonici e stoici che rivestono il
nucleo giudaico, troviamo anche il linguaggio dei culti misterici e la
nascente terminologia di un nuovo misticismo.
Le
religioni misteriche da parte loro hanno profonde relazioni col
complesso astrale di idee. Il neoplatonismo è largamente aperto a ogni
dottrina religiosa pagana, specialmente orientale, con una pretesa di
antichità ed un alone di spiritualità. Il cristianesimo, persino nelle
sue formulazioni «ortodosse», ha avuto fin dal principio (certamente dal
tempo di san Paolo) aspetti sincretistici, sorpassato tuttavia di molto
sotto questo aspetto dalle sue ramificazioni eretiche; i sistemi
gnostici racchiudevano tutto: mitologie orientali, dottrine
astrologiche, teologia iranica, elementi della tradizione giudaica, sia
biblici, rabbinici o occulti, escatologia cristiana della salvezza,
termini e concetti platonici. Il sincretismo raggiunse in questo periodo
la sua maggiore efficienza; non era più confinato a culti specifici e
non riguardava soltanto i loro sacerdoti, ma aveva pervaso tutto il
pensiero dell'epoca e appariva in tutte le sfere di espressione
letteraria. Perciò nessuno dei fenomeni che abbiamo enumerato, può
essere considerato separatamente da tutto il resto.
Eppure
il sincretismo, il frammischiarsi di date idee e immagini, ossia delle
correnti formate dalle molteplici tradizioni, è naturalmente un fatto
puramente formale che lascia aperta la questione circa il contenuto
intellettuale la cui apparenza esteriore viene da tale fatto
determinata. Vi è un'unità nella molteplicità, e qual è? ci si chiede di
fronte a tale complesso fenomeno. Qual è la forza organizzatrice nella
materia sincretistica? Abbiamo detto precedentemente, come affermazione
preliminare, che nonostante il suo aspetto «sintetico» il nuovo spirito
non era un eclettismo amorfo. Quale fu dunque il principio direttivo e
quale la direzione?
"L'unità
sottostante: capacità rappresentativa del pensiero gnostico". Per avere
una risposta a tale questione bisogna fissare la propria attenzione su
alcuni atteggiamenti mentali caratteristici che si mostrano più o meno
distintamente in tutto il gruppo, astraendo dalla grandissima diversità
dei contenuti e livelli intellettuali. Se in questi lineamenti comuni
riconosciamo un principio spirituale operante che non era presente nei
singoli elementi del composto, possiamo identificare questo come il vero
fattore della composizione. Ora è possibile scoprire di fatto un nuovo
principio in tutta la letteratura che abbiamo ricordato, sebbene in
gradi diversi di determinazione. Esso appare ovunque nei movimenti
provenienti dall'Oriente e più particolarmente in quel gruppo di
movimenti spirituali che sono compresi sotto il nome di «gnostici».
Possiamo perciò assumerlo come il più radicale e totale rappresentante
di un nuovo spirito e possiamo di conseguenza chiamare in modo analogico
questo "principio generale", che in alcune inequivocabili
manifestazioni si estende al di là del campo della letteratura gnostica
propriamente detta, il «principio gnostico». Qualunque possa essere
l'utilità di tale estensione del significato del nome, certamente lo
studio di questo particolare gruppo è di grande interesse non soltanto
in se stesso, ma anche perché può fornire, se non la chiave di tutta
l'epoca, almeno un contributo vitale alla sua comprensione.
Personalmente
sono fortemente incline a considerare tutta la serie dei fenomeni nei
quali si manifesta l'ondata orientale come differenti rifrazioni, ed
anche reazioni, di questo ipotetico principio gnostico, e ho esposto in
altra sede le mie ragioni a sostegno di tale tesi (3). Per quanto
generosi si possa essere nell'accettarlo, questo modo di vedere
racchiude nel suo significato la specificazione che il comune
denominatore così identificato può assumere varie forme e ammettere
molti gradi di diluizione e di compromesso con princìpi contrastanti. In
parecchi casi potrà essere esso stesso soltanto uno degli elementi in
un insieme complesso di motivi intellettuali, parzialmente operante e
imperfettamente realizzato nella totalità risultante. Ma è un fattore
nuovo, ovunque esso si faccia sentire, e la sua manifestazione più
genuina si può trovare nella letteratura gnostica propriamente detta. A
questa ci volgiamo ora, riservandoci nell'ultima parte (Parte terza) il
tentativo di situare il suo messaggio nel vasto quadro della cultura
contemporanea.
NOTE ALL'INTRODUZIONE.
1 (Basileus) «Re»: traduzione letterale di Malchus.
2.
(Porfirio) «Vestito di rosso»: allusione al suo nome originale e
insieme alla principale industria della sua città nativa, la tintura
della porpora.
3.
H. JONAS, "Gnosis und spätantiker Geist", I e II, 1, passim; ved. in
particolare l'introduzione al vol. 1 e il cap. 4 del vol. 2, 1.
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