giovedì 27 aprile 2017

Pratiche, Sentieri e Maestri



Una modesta riflessione. 

Spesso capita di ascoltare qualcuno, in verità non pochi, sostenere che per procedere lungo la via dell'autorealizzazione è necessario utilizzare una determinata pratica, seguire le orme di quel maestro o affidadarsi a chi ha i titoli.  

Le pratiche. Vorrei suggerire come ogni uomo è frutto di una particolare alchimia fisica/psicologica/animica. Indubbiamente di fondo siamo "macchine" similari, ma ciò non significa che quanto risulta essere proficuo per l'uno, lo sia anche per l'altro. Le antiche botteghe rinascimentali, mio eterno archetipo, ci hanno insegnato che mille erano gli strumenti e i rudimenti proposti ai vari artigiani. I quali, dopo un periodo di onnivoro apprendistato, sceglievano quelli maggiormente congeniali al proprio genio e alla propria attitudine. Allo stesso modo, lungo il sentiero spirituale, avremo fratelli votati alla meditazione, altri alla preghiera, altri ancora all'utilizzo di pratiche teurgiche e via narrando. In ciò non vi è niente di male e di pernicioso, ma tutto di utile e intelligente.  Amico mio trova quanto ti è adatto e congeniale, senza per questo incedere nella pigrizia e nella faciloneria.

Le orme del Maestro. Molti tendono a dissimulare la propria mediocrità come divulgatori e formatori, nascondendosi dietro le sottane dei Maestri. E' un comportamento tipicamente umano e riscontrabile anche in altri ambiti sociali (la politica con i padri nobili ad esempio). Orbene nessuno di noi ha avuto modo di conoscere i Maestri del Passato, i quali, in genere, erano piuttosto mal compresi anche dai loro contemporanei. La nostra necessità, se di necessità si tratti, è quella di seguire una direzione e non di calcare le orme di fantasmi. Questo perchè il nostro passo è ben diverso dal loro. Ancora vale il senso dell'ovvio: se io e te, mio buon amico, ci rechiamo in montagna a camminare e pretendiamo di seguire il passo di un esperto in trekking, ci troveremo ben presto senza fiato o con qualche accidente a livello muscolare. Trova quindi i tuoi tempi e le tue misure.

I Titoli. Per quanto possa risultare strano ai più, non esiste nessun albo, internazionale o nazionale, atto a sancire chi ha i titoli per divulgare o formare. Non esiste neppure una qualche commissione giudicante, e chi vagheggia siffatte castronerie oscilla fra l'idiozia e il malanimo. Purtroppo queste, l'idiota e il farabutto, sono categorie umane molto ben rappresentate nel sottobosco spirituale, ma svolgono comunque un utile lavoro: Quello di raccogliere quel materiale umano poco adatto ad un'autentica via di libertà e conoscenza. Personalmente gli unici titoli che riconosco sono quelli conquistati con merito sul campo della lotta interiore, della divulgazione e della testimonianza coerente e lineare. Ho difficoltà a riconoscere coincidenza fra titoli e qualifiche spirituali in personaggi che denigrano, calunniano, scrivono il falso e hanno una vita costellata di misfatti e ombre. 



In cosa credo? Non ho nessuna fede da difendere e nessuna verità da patrocinare. Personalmente ritengo che è necessario comprendere di tradurre in esperienza ogni singolo accadimento che la vita, caoticamente, ci propone e a cui la nostra struttura psicologica ed animica ci predispone. Lo strumento giusto raramente può essere definito a priori, in quanto  il nostro Essere è mutevole, e come tale necessità di qualcosa di difforme in ogni fase di progressione interiore. 
Ogni assolutismo e ogni referenzialismo, in ambito spirituale, comporta più situazioni di blocco e ristagno che autentica spinta verso la conoscenza.

domenica 16 aprile 2017

LA TAVOLA ALCHEMICA


"Non possiamo avere il vero senza il falso; riconosciamo un'immagine vera attraverso un sottile senso delle illusioni, attraverso la percezione che ci stiamo ingannando. La complicazione del cuore è il suo battito doppio, una sincope echeggiante; oppure è il suo muro interiore, uno specchio a due facce che ci consente di prendere 'a cuore' le speculazioni riflessive, e di immaginarle ancora" (James Hillman 'L'anima del mondo e il pensiero del cuore', Garzanti, Milano 1993).

Un errore grossolano che possiamo riscontrare in molti interventi attorno all'alchimia, è il discorrere attorno al simbolo alchemico, e al rinvenimento dello stesso in alcune opere dell'ingegno umano quali l'architettura, la pittura e la scultura. In quanto sussiste una profonda differenza fra una lettura alchemica di un simbolo, e il simbolismo alchemico. La prima presuppone che un alchimista o un conoscitore di questa Arte, che vuole realizzare la Grande Opera nelle sue opere intermedie e necessarie, dia una lettura di un particolare artistico o intellettuale come se esso fosse raccolto all'interno di una tavola alchemica, mentre il simbolismo alchemico altro non è che la logica progressione narrativa del procedimento alchemico.
L'aspetto fondamentale della narrazione alchemica, su cui torneremo in seguito per meglio precisare cosa mai si possa e si debba intendere con essa, non si vela e rivela attraverso il simbolo inteso come entità individuale, ma attraverso la tavola alchemica.  In generale, attorno al simbolo, possiamo sicuramente affermare che esso si manifesta tramite una forma e un contenuto. Quando esso è decontestualizzato del corpo tradizionale o operativo in cui è o dovrebbe essere insito, o in alternativa è avulso il lettore dello stesso da tali insiemi, esso altro non è che una forma che si pone ad una lettura esterna, superficiale, piana, e prospettica. Quando invece si verifica la compresenza della saldezza di ciò che viene letto, e di chi legge, all'interno di un insieme operativo e tradizionale il simbolo perde il suo significato di esercizio dialettico attributivo, per assumere un significante univoco e caratterizzante.
Da tale assunto discende che ogni volta che ci imbattiamo in un'espressione simbolica, è possibile attribuire ad essa una molteplicità di significati, ma se da un lato essi sono tutti ricevibili in una chiave puramente discorsiva, nessuno di essi ha la possibilità di coglierne la reale essenza in quanto è frutto di un procedimento puramente logico, puramente esterno. Inoltre dobbiamo considerare, che non di rado tale sforzo e sfoggio dialettico investe espressioni grafiche, letterarie e scultoree che non hanno nessun intendimento che non la bellezza dell'arte. In quanto la profanità non solo è l'esclusione da un dato ambito, ma è anche il pretendere di essere addentro ad un determinato ambito.

La narrazione alchemica non deve essere intesa come il tentativo degli alchimisti di parlare al mondo esterno, perché se così fosse non si comprenderebbe come mai in molti trovano le tavole alchemiche oscure, ermetiche, criptiche. Essa non è divulgazione, in quanto non dobbiamo considerare gli alchimisti come benemeriti spiritualisti al servizio dell'umanità, o membri di qualche associazione assistenziale, o benemeriti iscritti ad un gruppo di ascolto. Bensì degli argonauti dello spirito e della materia che tramite un procedimento hanno come pretesa quella di mutare l'oggetto del loro agire da uno stato all'altro. 
Del resto si converrà che sussiste una certa ed evidente differenza fra l’interrogarci attorno al singolo simbolo, ed avere come piano di sollecitazione l’intera tavola alchemica. Nel primo caso siamo come colui che da una fugace vista del cielo stellato cerca di tracciare una mappa, nel secondo come colui che dalla mappa del cielo stellato cerca di tracciare la propria posizione.
L'azione dell'alchimista non assume fattezze di estemporaneità, di attenzione momentanea ed occasionale ad un aspetto dello spirito o della materia, ma bensì ha valore di opera sistematica e sistemica che ne accoglie ogni espressione. Ecco quindi la necessità di narrarla non tanto attraverso un individuale segno, un occasionale simbolo, o vergatura solitaria di penna, o distinto marmoreo cesello, quanto piuttosto quello di raccoglierla in modo sistemico in una tavola, o tabula, alchemica.

Nella Tavola Alchemica sussiste ed insiste una processione simbolica, che narra del transitare da uno stato all'altro, e delle operazioni necessarie affinché ciò accada. La narrazione alchemica non è il regno dell'emotivo e dell'occasionale, ma del logos che deve presiedere le fasi dell'Opera,  e la ripetibilità dell'Opera . Questa narrazione si esprime in un insieme di pesi, misure, processi e strumenti,  e ponendo la dovuta attenzione ci rendiamo conto che siamo innanzi ad una  progressione, da uno stato primordiale, rozzo, e confuso, ad uno in cui l'essenzialità del materiale è portata a sublimazione e spiritualizzazione. L'Alchimia ha significato nella propria interezza, e non nella sua parcellizzazione in simboli. Così facendo se ne perde il senso e l'integrità, e i simboli così enucleati decadono al rango di semplici segni utili per esercizio dialettico, ma privi di qualsiasi valore operativo.
Giustamente il mio amico Fulvio Mocco osserva:
" E' vero che l'alchimia si basa su operazioni più che su simboli e che non bisogna confondere il particolare con l'insieme, l'albero con la foresta, però, come nel caso dell'Albero di Vita, dell'Asse del Mondo, del Caduceo, i codici, i simboli, i sephirot, i chakra, i sigilli apocalittici, i cieli planetari o angelici sono necessari alla nostra mente razionale che è costretta ad osservare attraverso sequenze logiche e categorie di opposti: prima e dopo, osservatore e fenomeno, figura e sfondo, io e il mondo, creatore e creatura, e naturalmente anche l'alchemico solve et coagula. Essere o non essere: questo è il classico problema scespiriano riverberato nell'alchemico Rebis, res bis o res bina, la cosa doppia. "
Ci rendiamo conto che sarebbe necessario, e forse utile per noi stessi e voi, trattare qui dell'Opera Alchemica e delle sue articolazioni, ma ciò esula dal presente lavoro, e viene rimandato a prossimi saggi. Gradiamo continuare a parlare del metodo alchemico di narrazione, non nella sua specificità, ma dell'idea che lo anima. In quanto riteniamo che essa sia utile a fattiva non solo in tale ambito, ma in generale nell'opera dell'iniziato.
E' utile considerare se la nostra comprensione dell'Opera Alchemica non investe il piano fisico, quello dei soffiatori di vetro o di chi propende per un'alchimia meccanica, ma è rivolta al piano interiore, occultato nella pietra sedimentaria della nostra forma, che distinguo quali trasmutazione, reintegrazione, rettificazione, così come proposti dalle varie scuole iniziatiche, altro non sono che artifici dialettici.  Giungendo alla scarna essenzialità del loro fino, ci accorgiamo che siamo in presenza di un'Opera Alchemica che ha come oggetto l'iniziato nella sua interezza, proponendo allo stesso degli strumenti ed un ambito in cui conseguire l'Opera Magna.
Ecco quindi la necessità della Tavola Alchemica intensa non tanto come accanito studio delle altrui rappresentazioni, ma come comprensione di un metodo non solo rappresentativo, ma anche operativo che necessariamente deve essere attuato.

La Tavola Alchemica coniuga due elementi a nostro avviso fondamentali, il logico rappresentativo, e l'intuitivo immaginifico.
Il primo si estrinseca nel processionare ciclico, l'Opera è ciclica in quanto solamente chi possiede l'oro può fabbricare l'oro, da un punto iniziale, lungo un percorso trasmutativo, con la rappresentazione degli strumenti dell'Opera stessa. Ecco qui intervenire i sette momenti dell'Opera: Putrefazione, Calcinazione, Distillazione e Sublimazione, Soluzione, Coagulazione e Tintura o Manifestazione, e i tre stadi dell'Opera Magna, o Opere Minori: Nigredo, Albedo, Rubedo.
Tale possente elencazione, tale meticolosa suddivisione, è una precisa rotta, un’utile comparazione, una serie di pietre miliari, lungo il percorso che l'iniziato deve intraprendere per giungere e cogliere il fine del suo agire. Queste dieci tappe rappresentano il fondamento e il perno delle operazioni, e l'utile glossario narrativo con cui condividere non il risultato del processo, ma il processo stesso a chi ha orecchie per intendere.
L'aspetto intuitivo immaginifico, in virtù del segreto incomunicabile che è rappresentato dall'esperienza diretta, si esprime attraverso la ricchezza artistica dei simboli e glifi alchemici inseriti nelle tavole. Rispondenti all'apparato mitologico, naturale, e spirituale dell'operatore, ed atti ad investirlo di una serie di informazioni non legate ad una logica binaria, ma oserei affermare multidimensionale, e capaci di solleticare oltre alla sfera logica, quella intuitiva e sottile. Ecco quindi l'apparire di simboli minerali, vegetali, astrologi, animali, o espressione di una sfera mitologia o al limite dell'orrido. Tutti legati e sorretti da un sottile filo di Arianna che è il procedere dell'Opera stessa.
L'ermetismo criptico dell'alchimia non è quindi tanto legato al linguaggio particolare che gli alchimisti stessi imponevano per avvolgere nel silenzio i loro segreti, del resto a ben vedere solamente uno sciocco o un ingenuo potrebbe pensare che la necessità di segreto abbiamo come risposta quella di dare alle stampe libri ricchi di bizzarri simboli, ed astruse iscrizioni. Quanto piuttosto l'incapacità dell'uomo moderno, e delle istituzioni formatrici, di impartire la giusta ed adeguata prospettiva di lettura e di pratica.

Filippo Goti

domenica 2 aprile 2017

Cos’è la Teurgia




“Nel gregge della fatalità non cadono i teurghi.” (Oracoli caldaici, frammento 153.)

«La Magia Cerimoniale è una operazione con la quale l’Uomo cerca di costringere, con il gioco stesso delle Forze Naturali, le Potenze invisibili dei diversi Ordini ad agire secondo ciò che da esse richiede. A questo scopo, le afferra, le sorprende, per così dire, proiettando delle Forze di cui egli stesso non è padrone, ma alle quali può aprire delle vie straordinarie, in seno stesso della Natura. Donde Pentacoli, sostanze speciali, condizioni rigorose di Tempo e di Luogo che occorre osservare pena i più gravi pericoli. Poiché, se la direzione ricercata è un pochino imperfetta, l’audace è esposto all’azione delle “Potenze” nei cui confronti non è che un granellino di polvere... » (Charles Barlet: l’«Initiation», numero di Gennaio 1897).

Originariamente la Teurgia (dal greco antico θεουργία theurghía) era un’arte riservata ai sacerdoti[1], attraverso la quale si anelava alla manifestazione della divinità su questo piano. Ciò poteva avvenire sia cercando di far precipitare la divinità all’interno di un corpo, in genere una statuetta di creta, inanimato, oppure all’interno di un essere umano. Entrambe le operazioni si articolavano in complessi rituali cadenzati da solenni gesti, profonde orazioni, simboli magici e preceduti da immancabili purificazioni. Attorno al reale valore della Teurgia molto ci lascia intuire il  significato di questa parola, che altro non è che “opera attraverso Dio” oppure “opera per mezzo di Dio”.
Ecco quindi quella che dovrebbe essere, se correttamente compresa, la profonda differenza fra Teurgia e Magia. Mentre la seconda opera, attraverso le forze naturali, volta al fine di conquistare un vantaggio personale, la Teurgia si compie tramite l’assistenza del divino e non ha finalità egoistiche.
Come già accennato in precedenza l’assenza di tale comprensione, il volgere la Teurgia a finalità personali, comporta inevitabilmente il suo declassarsi ad operazione magica. Mi permetto, giunto a questo punto, di spendere ulteriori considerazioni per meglio chiarire la questione di cui stiamo trattando.

In tutta l’arte magica, dove con tale termine si intende la capacità di operare modifiche nel nostro tempio interiore o nel mondo quaternario, la reale differenza, fra le varie scuole, non attiene al tipo di strumenti utilizzati, quanto piuttosto alla prospettiva con cui si opera. La prospettiva della Teurgia non è il vantaggio personale, specie quando non dovuto e neppure il danno altrui; quanto piuttosto operare in conformità alla legge divina per la propria reintegrazione e per la Gloria dell’Essere Supremo ed Immanifesto[2].
Questa è la Teurgia, ed è per tale motivo che l’annovero non tanto nelle pratiche del Mago, quanto piuttosto in quelle del Sacerdote (sacro-fare). Il Sacerdote[3] è l’intermediario fra il Divino e gli Uomini, è animato dalla volontà di servire, attraverso il sacrificio di se stesso, la comunità di fratelli che attorno a lui è raccolta. Egli non può e non deve operare in contrasto, od in opposizione, a tali intendimenti.

E’ giusto adesso evidenziare, per meglio permettere di comprendere, quelle che sono le differenze maggiori

Per Magia si intende la capacità di modificare elementi o relazioni fra oggetti, ivi inclusi gli uomini, attraverso forze della natura o entità legate al basso psichichismo. L’operatore utilizza le forze emotive, sessuali e mentali per “scagliare” la propria volontà contro un determinato oggetto, in forza di un tramite. Oppure “covando” tale volontà all’interno di un simulacro[4]. Si comprenderà, a prescindere ogni valutazione di ordine morale e spirituale, come tali operazioni sono ben lontane da un proposito di elevazione e affrancamento dal caduco quaternario. Esse, anzi, rafforzano il legato fra l’operatore e questo basso piano dimensionale, creando un groviglio di flussi energetici e di magnetismi, da cui difficilmente è possibile liberarsi.

La Teurgia, come già evidenziato in precedenza, rappresenta uno strumento attraverso cui il Teurgo è tramite, asse, fra questo piano e quello superiore. Opera al fine della personale reintegrazione e quella di tutta l’umanità. In quanto attraverso il suo sacro fare, le influenze sottili si riversano sul nostro piano. Il Teurgo al contempo, attraverso le manifestazioni della deità, può comprendere quanto l’Opera stia progredendo. Usufruendo di simboli e parole di potere che gli saranno concessi al compimento, se corretto in ogni sua parte, del rituale dalla benevolenza degli Enti Superiori[5].

A tale proposito propongo questo estratto di R. Le Forestier  ("La Massoneria Occultistica nel XVIII secolo e l'Ordine degli Eletti Coen"): "Per quanto fossero importanti le cerimonie delle Operazioni: prosternazioni, incensamenti, invocazioni con preghiere, tuttavia esse non erano del tutto efficaci; erano necessarie, ma non sufficienti. Per convalidare la loro azione  erano indispensabili tre fattori: la virtù mistica dell'operante, un'influenza astrale favorevole ed il concorso della  grazia divina. La virtù mistica dell'adepto, a sua volta, dipendeva da tre  condizioni: dal suo stato di grazia, da una soprannaturale  facoltà conferitagli dall'ordinazione, dalla cooperazione simpatica a distanza dei suoi uguali in iniziazione. La sola  precisione della cerimonia non basta" scriveva Pasqually nel  1768 a Bacon de la Chevalerie " sono necessarie anche l'esattezza della santità di vita [...] (all'adepto che vuole entrare in relazione con gli Spiriti), gli occorre una preparazione spirituale  fatta di preghiera, ritiro ed attesa" (V,229). L'Eletto Coen  doveva osservare una "regola di vita" molto ascetica. Gli  era proibito "per tutta la vita", nutrirsi di sangue, grasso e rognoni di qualsiasi animale, mangiare carne di piccione  domestico (111,76/77). Con estrema moderazione poteva darsi  ai piaceri dei sensi, poiché, per poter giungere al grado supremo, egli doveva astenersi da qualsiasi materia impura soprattutto dalla "fornicazione (relazioni sessuali) che crea  turbamenti all'anima" (11,105)"

Da cui emerge, chiaramente, che il rituale non può sopperire a lacune e deficiente da parte del Teurgo. Il quale deve essere formato nell’arte e nello spirito: giusta attesa e giusta formazione. Purtroppo spesso capita di vedere persone da poco associate, ancora non radicate nell’Eggregore della struttura, ben lontane da aver compreso la filosofia che anima la docetica proposta, chiedere a gran voce di praticare rituali teurgici o maggiori. Accecati dall’orgoglio e dall’apparenza, non intuiscono che il rituale è una via, ma in assenza delle qualificazioni iniziatiche adeguate giammai potranno percorrerla.

Réne Guénon sulle qualificazioni iniziatiche:” Bisogna ritornare ora alle questioni che si riferiscono alla condizione prima e preliminare dell'iniziazione, vale a dire alle cosiddette « qualificazioni » iniziatiche; in vero, questo soggetto è dl quelli che non è possibile pretendere di trattare in modo completo, ma possiamo almeno apportarvi qualche chiarimento. In primo luogo, deve ben'essere inteso che queste qualificazioni sono esclusivamente del dominio dell'individualità; infatti se non vi fosse da considerane che la personalità o il « Sè », non vi sarebbe alcuna differenza da fare a tal riguardo fra gli esseri, e tutti sarebbero ugualmente qualificati, senza bisogno di fare la minima eccezione; ma la questione si presenta in modo ben diverso per il fatto che l'individualità deve necessariamente esser presa come mezzo ed appoggio della realizzazione iniziatica; in conseguenza, bisogna che essa possegga le attitudini richieste per rappresentare questa parte, ed il caso non è sempre tale. Se si vuole, l'individualità non è che lo strumento dell'essere vero; ma, se questo strumento presenta certi difetti, può essere più o meno completamente inutilizzabile, od anche esserlo del tutto. D'altronde, non v'è da meravigliarsi, volendo soltanto riflettere che, anche nell'ordine delle attività profane (o almeno divenute tali nelle condizioni dell'epoca attuale), ciò che è possibile per uno non lo è per un altro, e così, ad esempio, l'esercizio di tale o di tal'altro mestiere esige certe attitudini speciali, in pari tempo mentali e corporee. In questo caso, la, differenza essenziale è che si tratta di una attività appartenente al dominio individuale, attività che non lo oltrepassa menomamente e sotto alcun rapporto, mentre, in riguardo all'iniziazione, il risultato da raggiungere è invece oltre i limiti dell'individualità; ma, ripetiamolo ancora, quest'ultima deve non di meno essere presa come punto di partenza, e si tratta di una condizione cui è impossibile sottrarsi.”

Tratto da "ELEMENTI DI TEURGIA - HEPTAMERON" edizioni Lulu 




[1] Ecco perché in alcuni contesti tradizionali, la teurgia, o almeno i rituali maggiori, sono espletati da coloro che hanno ricevuto un’ordinazione sacerdotale.
[2] Nel martinismo ciò è magistralmente rappresentato dal passaggio dalla formula tetragrammatica יﬣוﬣ alla formula pentagrammatica יﬣשוﬣ. Dove la ש rappresenta quel fuoco spirituale che rettifica e reintegra il dispiegamento polare della manifestazione.
[3] Si veda in appendice il paragrafo dedicato all’Archetipo Sacerdotale.
[4] Rientra in questa pratica anche la sigillazione dei desideri.
[5] Nella mia prospettiva, squisitamente gnostica, ogni definizione è valevole sotto il profilo meramente scolastico, venendo poi riassorbita e superata dalla pratica che conduce all’esperienza.