sabato 26 dicembre 2020

VETUS ITALA SALMO 90/91


 

XC.

 1 LAUS CANTICI IPSI DAVID. 

Qui habitat in adjutorio Altissimi, 

in protectione Dei coeli commorabitur. 

2 Dicit Domino: Susceptor meus es tu, et refugium meum: 

Deus meus, et sperabo in te. 

3 Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium, 

et a verbo aspero. 

4 In scapulis suis obumbravit tibi: 

et sub pennis ejus sperabis. 

5 Scuto circumdabit te veritas ejus: 

non timebis a timore nocturno: 

6 A sagitta volante per diem, 

a negotio perambulante in tenebris: 

a ruina, et daemonio meridiano. 

7 Cadent a latere tuo mille, et dena millia a dextris tuis: 

tibi autem non adpropiabit. 

8 Verum autem oculis tuis considerabis: 

et retributionem peccatorum videbis. 

9 Quoniam tu es Domine spes mea: 

altissime posuisti refugium tuum. 

10 Non accedent ad te mala: 

et flagellum non adpropiabit tabernaculo. 

11 Quoniam angelis suis mandavit de te: 

ut custodiant te in omnibus viis tuis. 

12 In manibus portabunt te: 

nequando offendas ad lapidem pedem tuum. 

13 Super aspidem, et basiliscum ambulabis: 

et conculcabis leonem et draconem. 

14 Quoniam in me speravit, et liberabo eum: 

protegam eum, quia cognovit nomen meum. 

15 Invocavit me, et ego exaudiam eum: 

cum ipso sum in tribulatione: 

eripiam eum, et glorificabo eum. 

16 Longitudinem dierum implebo eum: 

et ostendam illi salutarem meum.

SALMO 91 e il Basilisco


Nei dettagli si cela la conoscenza, nei dettagli si cela l'inganno.

Tutti noi conosciamo il Salmo 90/91 e il suo consolidato potere apotropaico (Che serve ad allontanare o ad annullare un influsso magico maligno). Gli studi papirologici  ci indicano come, fatte 209 le citazioni di Salmi, il Salmo 91 (90) è richiamato in 33 occasioni e ben più di ogni altro Salmo; questa evidenza statistica deve suggerirci una lecita riflessione sulla ragione di tale predilezione, da parte della cultura cristiana formatasi in Egitto, nei confronti di questo Salmo. 

La ragione per cui la spiritualità delle primitive comunità cristiane d’Egitto (ricordo che fu proprio questa terra il luogo dove inizialmente e massicciamente si diffuse la narrazione cristica, che si intrecciò con lo gnosticismo e la cultura greca) fu così attratta da questo capitolo del Salterio è sicuramente da ricercarsi nella sua centralità e nell’arte talismanica, magica e religiosa ebraica.  Non è però adesso mia intenzione intrattenere il gentile lettore con un'esposizione ampia di questo Salmo e la sua centralità nell'opera magica, vorrei piuttosto spendere alcune riflessioni e attenzioni in merito alla sue infedeli traduzioni in volgare.

Il libro dei Salmi della Veuts Itala riporta quanto segue:

11 Quoniam angelis suis mandavit de te: ut custodiant te in omnibus viis tuis. 12 In manibus portabunt te: nequando offendas ad lapidem pedem tuum. 13 Super aspidem, et basiliscum ambulabis: et conculcabis leonem et draconem. (Vetus Itala)

Per inciso la Vetus Itala o  Vetus latina è la denominazione convenzionale ed inclusiva  che raccoglie tutte le diverse traduzioni della Bibbia in lingua latina (ad opera quindi di diversi estensori) dal II al IV secolo. Queste Bibbie, che circolavano nelle province continentali dell'Impero Romano (abbiamo anche la Vetus Afra, che ovviamente erano le bibbie delle province africane dell'Impero) sono ovviamente precedenti alla Vulgata, che ricordo essere la traduzione della Bibbia in lingua latina a curata da Sofronio Eusebio Girolamo. Ne consegue che il libro dei Salmi raccolto Veuts Itala - Vetus Latina - non solo è più antico della Vulgata, ma gode anche di una maggiore aderenza all'antico senso "spirituale e magico" infuso nei Salmi.  

Orbene vediamo alcune traduzioni:

11 Poiché egli comanderà ai suoi angeli di proteggerti in tutte le tue vie. 12 Essi ti porteranno sulla palma della mano, perché il tuo piede non inciampi in nessuna pietra. 13 Tu camminerai sul leone e sulla vipera, schiaccerai il leoncello e il serpente. (Nuova Riveduta)

11 Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. 12 Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede. 13 Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi. (CEI)

11 Poiché egli comanderà ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie. 12 Essi ti porteranno nelle loro mani, perché il tuo piede non inciampi in alcuna pietra. 13 Tu camminerai sul leone e sull'aspide, calpesterai il leoncello e il dragone. (Nuova Diodati)

Eppure il testo in latino della Vetus è chiaro, si parla in modo inequivocabile di Aspide e Basilisco. Certamente aspide è indicazione generica, oggi, per un gran numero di serpenti velenosi, ma dobbiamo anche rammentare che all'interno di un testo "sacro" così impreziosito da simboli e affreschi mitici ogni elemento ha un senso che va ben oltre l'aspetto meramente formale ed enunciativo. Ecco quindi che l'aspide è presumibilmente il Cobra egiziano, con associato l'alto significante che deteneva nella sfera magica e religiosa dell'antico Egitto. Il Basilisco secondo Plinio il Vecchio e Solino era un serpente dalle minute dimensioni, forse lungo meno di venti centimetri, ma dal mortale veleno: capace di uccidere all'istante (retaggio della Medusa?) 

Scrive Plinio: "E’ un drago che ha sulla testa una corona d’oro, grandi ali spinose, una coda di serpente, che termina con la testa di un gallo. Il suo fiato avvizzisce la frutta. Il suo sputo brucia e corrode. Il suo sguardo spacca le pietre. L’odore della donnola lo uccide."




Quindi nelle varie vulgate si è voluto collocare l'azione di protezione di questo Salmo in una sfera naturale (vipere, leoni) tralasciando o comunque relegando ad un ruolo secondario l'aspetto. Questo a mio avviso implicitamente ed esplicitamente depotenzia l'azione del Salmo, il quale nella sua enunciazione è privato di quelle immagini - e le stimolazioni profonde connesse sulla nostra psichiche - dall'alto potere evocativo. Immagini capaci di traslare l'operatore da un piano quotidiano ad un piano che si perde in quella notte dove tempi dove il Mito era porta per i nostri più profondi recessi.



venerdì 25 dicembre 2020

Il Natale da una conferenza di Rudolf Steiner


 

(Da una conferenza tenuta da Rudolf Steiner a Berlino il 17 dicembre 1906)

[…]Così, nel significato della festa del Natale, noi sentiamo un’eco delle feste più antiche dell’umanità. E questa eco ci è tramandata particolarmente nella sfumatura del rito cristiano. Nei suoi simboli noi ritroviamo le immagini simboliche dell’umanità più antica. Anche l’albero, coi suoi lumini, è uno di questi simboli. E’ il simbolo dell’albero del paradiso. Il paradiso rappresenta l’insieme della natura materiale. In essa, la rappresentazione della natura spirituale è data dall’albero della conoscenza e dall’albero della vita. C’è una leggenda che rende mirabilmente il significato dell’albero della conoscenza e dell’albero della vita. Set sta davanti alla porta del paradiso e chiede di entrare. Il cherubino che sta a guardia dell’ingresso lo fa entrare. Questo è il simbolo dell’iniziazione. Quando dunque Set fu nel paradiso, trovò che l’albero della conoscenza e l’albero della vita erano strettamente intrecciati tra loro. L’arcangelo Michele, che stava davanti a Dio, gli concedette di prendere tre semi di questo albero intrecciato. Questo albero accenna profeticamente all’avvenire dell’umanità: quando tutta quanta l’umanità sarà iniziata, quando avrà conseguito la conoscenza, allora ci sarà ormai solo l’albero della vita, e la morte non esisterà più. Per il momento, però, solo all’iniziato è lecito prendere da quest’albero tre semi, i tre granelli che significano i tre elementi superiori dell’uomo. Alla morte di Adamo, Set gli mise nella bocca quei tre granelli, e da essi germogliò un roveto ardente che aveva una virtù speciale: dal legno che se ne tagliava, germogliavano sempre gemme nuove e verdi foglie. Ma nel roveto ardente stava scritto: Io sono colui che fu, colui che è, colui che sarà. Ossia ciò che attraversa tutte le incarnazioni, la forza dell’uomo che sempre si rinnova e diviene, dell’uomo che dalla luce discende nelle tenebre, e dalle tenebre ascende alla luce.

La verga con cui Mosè compì i suoi miracoli è intagliata nel legno del roveto. La porta del tempio di Salomone è fatta con quello stesso legno, che fu trasportato nelle acque dello stagno di Bethsda, che ne ricevette la virtù di cui la leggenda ci narra. E del medesimo legno è fatta la croce del Cristo Gesù, quella croce che ci mostra che la vita convertita in morte ha in sé la forza di generare nuova vita. Nella croce ci sta davanti il simbolo stesso del mondo: la vita che vince la morte. Il legno di questa croce è germogliato dai tre semi dell’albero del paradiso. Anche nella rosacroce è espresso questo simbolo, è espressa la morte di ciò che nell’uomo è inferiore, e il risveglio, che ne deriva, dell’uomo superiore; è espresso quello che Goethe coniò poeticamente nelle parole:

E fino a tanto che non sei padrone di questa verità: muori e diventa! non sei che un offuscato ospite sopra l’oscura terra.

Qual mirabile rapporto fra l’albero del paradiso e il legno della croce! Anche se la croce è un simbolo pasquale, essa ci svela il segreto per immergerci nell’atmosfera natalizia. Sentiamo così l’idea del Cristo fluire in noi, nella notte della natività, come una nuova sorgente di vita. Le vivide rose che adornano l’albero di Natale ci dicono che se anche esso non è ancora diventato legno della croce, la forza necessaria per diventarlo comincia e ricevere a Natale il primo impulso all’ascesa. Le rose, che germogliano dal verde, sono un simbolo dell’imperituro che si genera dall’effimero.

Oltre alle rose, sette altri simboli sono atti ad ornare l’albero natalizio: il quadrato, simbolo della tetrade umana: il corpo fisico, il corpo eterico, il corpo astrale e l’io. Il triangolo, simbolo del sè spirituale, per lo spirito vitale e per l’uomo spirituale.

Più sopra, il simbolo del tarocco. Quelli che erano iniziati nei misteri egizi sapevano interpretarlo. E sapevano anche leggere il Libro dei morti, che constava di settantotto fogli, nei quali erano scritti tutti i segreti del cosmo, dal principio alla fine, dall’alpha all’omega; i quali si potevano leggere, se si riusciva a connetterli e a combinarli fra loro nel modo giusto. Il libro dei morti conteneva i simboli della vita, che nella morte si estingue, per risorgere poi a nuova vita. Chi era in grado di connettere fra loro nel modo giusto i suoi numeri e i suoi simboli, riusciva a leggerlo. E questa saggezza riposta nei numeri e nei simboli, è stata tramandata fin da tempi primordiali. Ancora nel medio evo essa era tenuta in gran conto; oggi però non ce ne rimane che ben poco.

Troviamo poi il segno del tao, quel segno che ci ricorda la pia religiosità dei nostri lontani antenati, il segno che deriva dalla parola tao. Prima ancora che esistesse la civiltà europea, asiatica, africana, quei nostri lontani antenati dimoravano nell’Atlantide, che poi fu sommersa dalle acque del diluvio. Nelle leggende germaniche è ancora vivo il ricordo di questo continente ora sommerso; ne parla il mito dei Nibelunghi (dal tedesco Nibelheim ossia paese della nebbia). L’Atlantide non era circondata da un’atmosfera di aria pura. Grandi e possenti masse di nebbia avviluppavano il continente, in modo simile a come oggi, in alta montagna si è avvolti da nuvole e banchi di nebbia. Il Sole e la Luna non apparivano chiari in cielo; erano circondati dall’arcobaleno, dall’iride sacra. L’uomo di allora comprendeva ancora il linguaggio della natura. Ciò che oggi parla all’uomo nello scrosciare delle onde, nel mormorio del vento, nel fruscio delle fronde, nello strepitio del tuono, senza esserne ormai più compreso, tutto ciò allora gli era comprensibile. Gli uomini sentivano in ogni luogo che qualcosa parlava loro. Nel linguaggio delle nuvole, dell’acqua, delle fronde e del vento, risuonava loro una parola: tao (questo sono io). L’Atlantide la udiva e la comprendeva. Il tao pervadeva il mondo intero.

In fine, dalla cima dell’albero di Natale, ci saluta, per cosi’ dire, il pentagramma ossia tutto ciò che, in quanto uomo, pervade l’universo. Qui non è il caso di soffermarci sul senso recondito di questo pentagramma. Possiamo però dire che esso ci appare come la stella dell’umanità, dell’umanità in continua evoluzione. E’ la stella che tutti i savi seguono, come la seguirono in un remoto passato i savi sacerdoti. E’ il senso stesso della Terra, che nasce nella notte sacra del Natale, quando la somma luce irraggia dalle più profonde tenebre. L’uomo si trova ora in una condizione, per cui la luce deve generarsi in lui; per cui una parola significativa deve lasciare il posto ad un’altra parola. Non si dovrà più ora dire che le tenebre non comprendono la luce; bensì, nello spazio universale, dovranno risuonare, come una verità, queste parole: al cospetto della luce che si irraggia dalla stella dell’umanità, le tenebre si ritraggono e comprendono la luce. Queste parole ci devono risuonare nella festa del Natale. Da esse deve risplenderci la luce spirituale. Celebriamo dunque il Natale come la festa del sommo ideale dell’umanità, e suscitiamo nell’anima nostra questa fiducia gioiosa: sì, anch’io sperimenterò in me stesso quella che dobbiamo chiamare la nascita dell’uomo superiore; anche in me avrà luogo la nascita del Salvatore, la nascita del Cristo.

(Rudolf Steiner)


per ulteriori approfondimenti: Alcuni Simboli del Natale




giovedì 24 dicembre 2020

Alcuni simboli del Natale


E’ pur vero che nei testi canonici, e neppure negli apocrifi del Nuovo Testamento, non troviamo menzione di animali presenti alla nascita di Gesù, ma è altrettanto vero che gli “insegnamenti” non afferiscono solamente alla sfera dell’interpretato (allegoria, metafora) o dell’attribuito (morale), ma anche ad innesti simbolici che sono posti in quelle narrazioni atte a persistere nei secoli. Ecco quindi il bue e l’asinello a raccogliere – nel loro animalesco calore – la nascita del bimbo Gesù al riparo della fredda grotta; ecco quindi due elementi che si sono stratificati nella cultura popolare grazie all’iconografia sacra di maestri come Giotto e Caravaggio.

Scriveva Benedetto XVI: “Quanto alla nascita di Gesù nella grotta, «nel Vangelo non si parla di animali», scrive Ratzinger. «Ma la meditazione guidata dalla fede, leggendo l'Antico e il Nuovo Testamento collegati tra loro, ha ben presto colmato questa lacuna, rinviando ad Isaia 1,3: "Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende"». Probabilmente, racconta il Papa, anche altri due libri della Bibbia di Abacuc e dell'Esodo hanno avuto un'influenza. «L'iconografia cristiana già ben presto ha colto questo motivo. Nessuna raffigurazione del presepe rinuncerà al bue e all'asino»

Orbene noi che non siamo, e non vogliamo essere, legati ad una visione povera o morale e neppure animati dall’imperversante becero attualismo cerchiamo di impegnarci nel senso che ha determinato questa inclusione: il bue e l’asinello.

Veniamo quindi all’iconografia dove abbiamo il netto contrasto fra l’apparente povertà della natività, e l’immenso valore religioso ad essa attribuita. Il quale – il valore - ci è stato tramandato come il figlio di Dio, che si fa uomo in mezzo alla miseria della gente comune e quindi in contrasto con la regalità dei potenti, dei re e dei governati nelle loro ricche regge.  Su tale lettura, su tale interpretazione, è stato intessuto il messaggio morale del cristianesimo essoterico, rivolto al popolo, alle masse di esclusi, che ha trovato in esso un motivo di “simpatia”, di coesione e di promessa di riscatto postumo.

Cerchiamo adesso di provare a dare un significato profondo a questa ierofania.

La parola Natale trova radice, e significato, nel termine latino "natalis", esso è un aggettivo che indica non solamente la nascita, ma qualcosa che riguarda la nascita. Questo aggettivo a sua volta deriva dal verbo “nascor” che nella sua forma primitiva era “gnasci”. Uno dei significati era quello di “figlio legittimo”. Discende quindi che "Dies natalis" è letteralmente "il giorno della nascita del figlio legittimo". I figli legittimi anticamente, erano i soli figli a cui era riservato il Nome, la Potenza e la Gloria della stirpe.

Così abbiamo che il bambinello è il figlio legittimo del Padre Celeste, l’unico che ne possiede il nome e l’unico che può reclamare ed accogliere quanto è suo su questa terra. La grotta è un simbolo antico, legato alla magia ma è anche – per la sua conformazione – associabile all’utero femminile. Ecco quindi, brevemente, che essa rappresenta la nascita magica – miracolosa – del figlio divino. Il quale è carne che soffre alle intemperie, è forma visibile per gli uomini ed è un corpo tangibile ma è espressione di qualcosa di che emerge su questo piano – la sacra famiglia è sulla soglia della grotta – e si espone al mondo (ierofania).

Il bue sappiamo essere tradizionalmente legato all’energia vitale, alla forza, all’agricoltura, ma simboleggia anche lo sforzo fisico necessario per vincere le asperità del terreno e permettere al contadino – dopo l’aratura – la semina.   

Inoltre Nuccio D’Anna scrive: “il bue, che il giovane guerriero era tenuto a sacrificare perché era considerato l’animale per eccellenza da immolare, l’offerta “più gradita agli dèi”, come ha sottolineato più volte Omero nei suoi poemi, quella ritenuta più adatta a propiziare la stessa trasfigurazione iniziatica del giovane guerriero giunto all’apice del rituale.”

Quindi abbiamo una doppia chiave di lettura del simbolismo del bue, una doppia chiave che trova però perfetta e sinergica comunione ideale. Esso è simbolo di quella mansueta forza attraverso cui l’insegnamento si farà strada nella terra incolta del mondo, ma è anche presagio del calvario (ciò avverrà dopo 33 anni, il momento in cui il ciclo della luna, del sole e della terra si troveranno di nuovo in corrispondenza).

L’asino è una figura il cui significato simbolico è contrastante. Intelligenza e stupidità, stoltezza e saggezza, mansuetudine e testardaggine. E’ interessante notare come nella tradizione cristiana, l’asino è un simbolo ambivalente che raccoglie a seconda delle narrazioni aspetto positivo ed aspetto negativo. Così come il bue sacrificio gradito a Zeus, anche l’asino raccoglie un presagio: sarà la cavalcatura con cui Gesù entrerà in Gerusalemme. Ma anche l’asino è legato alla magia, e a tal proposito Cardini scrive: “Certo è che il Lucio protagonista dell’Asino d’oro di Apuleio, il quale fu un devoto seguace di Iside, è appunto mutato in asino in quanto schiavo dei piaceri della carne e dell’ostinata ignoranza tinta tuttavia di un’insana curiosità per la magia. Prima di venir liberato grazie all’intercessione di Iside, l’asino Lucio viene posto anche al servizio dei sacerdoti di una divinità solare siriana”

In merito a questi due animali, troviamo queste interessanti chiose: Fulcanelli insegna che «considerati dal punto di vista della pratica alchemica, il toro e il bue erano consacrati al sole», e  di rimando Canseliet, «l’asino è il simbolo del soggetto bruto e fortemente sgraziato».

Infine nella primitiva teologia cattolica il bue e l’asino sono i popoli della terra che si presentano davanti al figlio del Padre, al Re-Messia. Il bue è il Popolo Eletto in quanto animale "puro"; mentre l'asino è i popoli pagani in quanto animale impuro.



Ora cercando, si potrebbe lungamente continuare ma non vorrei giungere a Pasqua, di dare un significato profondo, una sorta di tema meditativo, siamo innanzi ad una rappresentazione dove i simboli in essa raccolti continuamente rimandano all’irruzione del sacro sul piano umano e naturale, alla coesistenza di qualità che saranno associate alla vita di Gesù e che al contempo sono anche presagio della sua morte, quasi a voler indicare in questo fatidico momento una coesistenza fra presente (la nascita), passato (gli elementi stessi che afferiscono a culture pregresse) e futuro (la morte). Espressioni sottili che l’iniziato dovrebbe fare proprie nel suo agire con forza nel lavorare la terra (la pietra grezza) incolta e al contempo domare la propria natura passionale e viscerale. In quanto in una riassuntiva lettura possiamo vedere il Gesù che nasce, come l’Uomo che ha addomesticato la propria “carnalità-bue” e domato la propria “mente-asino”.

Essenza -Mente - Corpo la triade su cui dobbiamo lavorare.

 

lunedì 21 dicembre 2020

INNO AL SOLE DI AKHENATON E IL SALMO 104

 


L’ “INNO AL SOLE DI AKHENATON“ è la più lunga poesia, giunta fino a noi,  scritta alla divinità del disco solare Aton. Si presume che sia stato composto verso la metà del XIV secolo a.C.. Il testo è attribuito al faraone Akhenaton della XVIII dinastia o ai suoi cortigiani.

Miriam Lichtheim descrive l'inno come "una bella dichiarazione della dottrina del Dio unico" Nel suo libro “Reflections on the Psalms“ del 1958 , CS Lewis ha paragonato l'Inno ai Salmi del canone giudaico-cristiano, così come Breasted (che li ha suddivisi in strofe per assomigliare a poesie occidentali). Miriam Lichtheim ha commentato una presunta somiglianza con il Salmo 104 dicendo che "Le somiglianze sono, tuttavia, più probabilmente il risultato della somiglianza generica tra inni egizi e salmi biblici. Una specifica interdipendenza letteraria non è probabile". Lo studioso biblico Mark S. Smith ha commentato che "Nonostante il costante sostegno per il confronto dei due testi, l'entusiasmo per l'influenza anche indiretta è stato temperato negli ultimi decenni. In alcuni ambienti, l'argomento per qualsiasi forma di influenza viene semplicemente respinto. Tuttavia alcuni egittologi, come Jan Assmann e Donald Redford, sostengono l'influenza egiziana sia sulla corrispondenza di Amarna (specialmente in EA 147) che sul Salmo 104 ". L' egittologo Dominic Montserrat discute la terminologia usata per descrivere questi testi, descrivendoli come poesie formali o elogi reali. Egli vede la parola "inno" come un suggerimento di "sfoghi di emozione" mentre li vede come "elogi, dichiarazioni di lode formali e retoriche" in onore di Aton e della coppia reale.


INNO AL SOLE DI AKHENATON

Magnifico risplendi tu. Sull’orizzonte del cielo, Tu sole vivente. Che determini la vita! Tu sorgi dall’orizzonte d’oriente. E colmi ogni terra della tua bellezza. Magnifico, grande e raggiante, alto sopra tutti i paesi della terra.

I tuoi raggi abbracciano le nazioni. Fino al termine di tutto quello che hai creato. Tu sei Ra quando raggiungi i loro confini. E li inclini per il tuo figlio amato. Sei lontano, ma i tuoi raggi sono sulla terra; sei nel suo volto, ma la tua via è inesplorabile.

Quando riposi oltre l’orizzonte occidentale, il mondo è immerso nelle tenebre, a somiglianza della morte. I dormienti sono nelle stanze. Con il capo velato e nessun occhio scorge l’altro.

Tutti gli averi che tengono sotto la testa vengono loro rubati. Non se ne accorgono. Ogni animale da preda è uscito dal proprio covile E tutti i serpenti mordono. L’oscurità è una tomba, la terra giace attonita, poiché il suo creatore è tramontato all’orizzonte.

Al mattino però eccoti di nuovo al di sopra dell’oriente E brilli come sole nel dì; scacci le tenebre e scocchi i tuoi raggi. Le Due Terre sono ogni giorno in festa, gli uomini sono desti e si levano in piedi, poiché tu li hai fatti alzare. Il loro corpo è pulito e hanno indossato abiti, le loro braccia si levano in preghiera al tuo sorgere la terra intera compie la sua opera.

Tutto il bestiame si pasce del proprio foraggio, alberi ed erbe verdeggiano. Gli uccelli hanno lasciato i nidi, i loro voli lodano il tuo Ka. Tutti gli animali selvatici stanno all’erta, tutto ciò che si agita e ondeggia nell’aria vive, poiché sei sorto per loro. Le grandi barche risalgono la corrente E poi la ridiscendono, ogni viaggio è aperto dal tuo sorgere. I pesci nell’acqua saltano dinnanzi al tuo apparire, i tuoi raggi penetrano nel fondo del mare.

Tu che fai germinare il seme nelle donne, Tu che procuri “il liquido” agli uomini. Tu che mantieni in vita il figlio nel corpo di sua madre. E lo acquieti così che le sue lacrime si asciughino - Tu, balia nel corpo della madre! - Tu che doni il respiro. Perché tutte le creature possano vivere. Quando il bimbo esce dal corpo della madre. E respira nel giorno della nascita, gli apri la bocca completamente e ti preoccupi di quel che a lui serve.

Al pulcino nell’uovo, Che già si fa sentire nel guscio - Tu concedi l’aria e lo fai vivere. Hai stabilito per lui il momento. Quando è tempo di rompere il guscio; ed esce allora dall’uovo per rispondere al termine fissato, cammina già sui suoi piedi, quando esce dall’uovo.

 

Quanto sono numerose le tue opere Che si nascondono allo sguardo, tu unico dio, del quale non esistono eguali! Hai creato la terra secondo il tuo desiderio, da solo, con uomini bestiame e ogni animale, con tutto quello che sta sulla terra, con tutto quello che si muove sui piedi con tutto quello che sta in alto e si muove con le ali.

I paesi stranieri di Siria e Nubia, e con essi la terra d’Egitto, hai collocato al posto dove si trovano e ti preoccupi dei loro bisogni, tutti hanno nutrimento e il termine della loro esistenza è stabilito. Le lingue sono diverse nei discorsi. E così pure i lineamenti; il colore della pelle è differente, poiché tu distingui i popoli.

Nel mondo sotterraneo crei il Nilo, e lo porti poi in superficie a tuo piacimento, per mantenere in vita gli uomini che tu hai creato. Sei il signore di tutti che per tutti si affatica, tu padrone di ogni terra che per te si schiude, tu sole del giorno, potente nell’alto! Tu mantieni in vita anche le terre più lontane, hai posto un Nilo anche nel cielo, perché possa giungere a loro, e infrangere onde sui monti, come il mare, e rendere umidi i loro campi con ciò di cui hanno bisogno.

Quando sorgi essi si risvegliano e rivivono per te. Crei le stagioni perché le tue creature si possano sviluppare. L’inverno, per dar loro frescura, il caldo dell’estate perché godano della tua presenza. Hai posto lontano il cielo per salire fino a lui. E osservare tutto quello che hai creato.

Sei unico quando sorgi, in tutte le tue forme di apparizione come Aton vivente, che brilla e risplende, lontano e vicino; tu crei milioni di esseri da te solo - Città, villaggi, e campi coltivati, ruscelli e fiumi. Tutti gli occhi si vedono di fronte a te, quando ti levi sulla terra come sole del giorno.

Quando tramonti, il tuo occhio non è più qui, quello che tu hai creato per loro, così non vedi te stesso come unico, ciò che hai creato - anche allora resti nel mio cuore e non c’è nessuno che ti conosce al di fuori di tuo figlio Neferkheprure Uanre al quale hai fatto conoscere il tuo essere e la tua forza.

Il mondo sorge al tuo cenno, come tu lo hai creato. Quando ascendi nel cielo essi vivono, quando tramonti, essi muoiono; sei il tempo stesso della vita, tutti vivono per te. Gli occhi posano sulla bellezza fino a quando non scompari, ogni opera viene tralasciata quando declini ad occidente. Colui che si leva rafforza ogni braccio per il re E ogni piede si affretta.

Da quando hai creato il mondo, lo fai sorgere Per tuo figlio che è nato dal tuo corpo, il re del duplice Egitto, Neferkheprure Uanre, Figlio di Ra, che trae vita da Maat, il signore del diadema, Akhenaton, grande nella sua esistenza, e la grande sua sposa e regina, che egli ama, la signora di entrambi i paesi, Nefertiti, che è piena di vita e giovane per tutta l’eternità.

 

Salmo 104 (Nuova Diodati)

1 Benedici, anima mia, l'Eterno! O Eterno, mio DIO, tu sei sommamente grande; sei vestito di splendore e di maestà. 2 Egli ti avvolge di luce come di un manto e distende i cieli come una tenda; 3 egli costruisce sulle acque le sue alte stanze, fa delle nubi il suo carro e cammina sulle ali del vento. 4 Fa dei venti i suoi messaggeri e una fiamma di fuoco i suoi ministri. 5 Egli ha fondato la terra sulle sue basi; essa non sarà mai smossa in eterno, 6 Tu l'avevi coperta dell'abisso come di una veste; le acque si erano fermate sui monti. 7 Al tuo rimprovero esse fuggirono, alla voce del tuo tuono si allontanarono in fretta. 8 I monti sorsero e le valli si abbassarono nel luogo che tu avevi fissato per loro. 9 Tu hai posto alle acque un limite da non oltrepassare; esse non torneranno a coprire la terra. 10 Egli fa scaturire sorgenti nelle valli; esse scorrono fra le montagne, 11 e danno da bere a tutte le bestie della campagna; gli onagri vi estinguono la loro sete. 12 Accanto ad esse fanno dimora gli uccelli del cielo; fra le fronde elevano il loro canto. 13 Dalle sue stanze superiori egli dà acqua ai monti; la terra è saziata col frutto delle tue opere. 14 Egli fa crescere l'erba per il bestiame e la vegetazione per il servizio dell'uomo, facendo uscire dalla terra il suo nutrimento, 15 e il vino che rallegra il cuore dell'uomo, l'olio che fa brillare il suo volto e il pane che dà forza al cuore dell'uomo. 16 Vengono così saziati gli alberi dell'Eterno e i cedri del Libano che egli ha piantato; 17 là fanno il loro nido gli uccelli, mentre la cicogna fa dei cipressi la sua dimora. 18 Gli alti monti sono per i camosci; le rocce sono rifugio dei conigli. 19 Egli ha fatto la luna per le stagioni; il sole conosce l'ora del suo tramonto. 20 Tu mandi le tenebre e si fa notte; in essa vanno attorno tutte le bestie della foresta. 21 I leoncelli ruggiscono in cerca di preda e chiedono a Dio il loro pasto. 22 Ma, quando sorge il sole, essi si ritirano e rimangono nelle loro tane. 23 Allora l'uomo esce alla sua opera e al suo lavoro fino alla sera. 24 Quanto numerose sono le tue opere, o Eterno! Tu le hai fatte tutte con sapienza; la terra è piena delle tue ricchezze. 25 Ecco il mare, grande e spazioso, che brulica di innumerevoli creature; 26 lo percorrono le navi e il Leviathan che tu hai formato per scherzare in esso. 27 Tutti si aspettano da te che tu dia loro il cibo a suo tempo. 28 Tu lo provvedi loro ed essi lo raccolgono; tu apri la mano e sono saziati di beni. 29 Tu nascondi la tua faccia, ed essi sono smarriti; tu ritiri il loro spirito, ed essi muoiono ritornando nella loro polvere. 30 Tu mandi il tuo spirito, ed essi sono creati, e tu rinnovi la faccia della terra. 31 La gloria dell'Eterno duri per sempre; si allieti l'Eterno nelle sue opere; 32 egli guarda alla terra ed essa trema; egli tocca i monti ed essi fumano. 33 Io canterò all'Eterno finché avrò vita; canterò le lodi al mio DIO finché esisterò. 34 Possa la mia meditazione essergli gradita; io mi rallegrerò nell'Eterno. 35 Scompaiano i peccatori dalla terra e gli empi non siano più. Anima mia, benedici l'Eterno! Alleluia.


Per approfondimenti: