lunedì 10 dicembre 2018

La Conoscenza

Ogni tanto mi capita di leggere o udire alcune affermazioni che oscillano fra la barzelletta e l'ingenuità. Una di queste ci narra dell'impossibilità di "conoscere noi stessi". Orbene mi sovviene che uno dei massimi scogli che deve affrontare l'argonauta dello spirito, è dettato proprio dalle forze inerziali ed ostative che si frappongono fra se stesso e la conoscenza. Le quali tendono a preservare lo stato di asservimento fisico, psicologico ed animico a cui l'uomo è soggetto proprio in cagione dell'ignoranza sulle cose tutte e sulla massima ignoranza: quella del Se. Indubbiamente è difficoltoso giungere a tale liberazione, in quanto la conoscenza, come ricordano gli Antichi Gnostici, è forma e veicolo di redenzione: ed è necessario una spogliazione, dolorosa, per rivestirsi di essa. Purtroppo non basta esibire qualche patente raggranellate in questua o furbizia, non è sufficiente votarsi a qualche polveroso rituale ottocentesco e ripetere in forma sicura e snella, per colui che può, qualche parola che reputiamo sacra. Il lavoro è ben altro. Esso passa sulla disciplina del nostro corpo e della nostra mente; esso si articola dell'autosservazione, nella retrospezione e nella introspezione; esso si connatura a comprendere ciò che è funzionale e ciò che è disfunzionale per la nostra crescita interiore; esso si estrinseca in atti e fatti concreti; esso trova linfa da una reale coesione tradizionale; esso trova fertilità e fecondità in una visione integrale dell'uomo e del percorso. Seguendo tale via, tale prospettiva di vita, sicuramente le gemme della conoscenza non tarderanno ad arrivare a noi. Pur ricordando che è attraverso l'estirpazione della gramigna dell'ignoranza (la massima ignoranza è quella di noi stessi) e della presunzione (la massima presunzione è quella su noi stessi), che è possibile far germogliare l'Albero della Gnosi.

La Conoscenza implica il Dolore, l'Errore e la Perdita.

Purtroppo, come ben sappiamo, la nostra società, attraverso i suoi strumenti plasmanti e coercitivi: cultura, educazione e morale, ci induce dal preservarci dal dolore, dall'errore e dalla perdita. Rendendoci simili a strani personaggi che giammai cadranno durante una corsa, in quanto hanno le game assieme legate al polpaccio. Drammaticamente l'assenza di dolore non è indici di felicità. Drammaticamente la preservazione dall'errore individuale, non è preservazione dall'errore collettivo. Al contempo questa nostra società suggerisce da un lato la de-responsabilizzazione dell'individuo e dall'altro il suo affidarsi acriticamente al sistema per mantenere il proprio livello di vita. Che io chiamo piuttosto il livello di inconscia sussistenza.
Il processo di apprendimento dell'individuo, è intimamente collegato all'errore, al dolore, alla perdita e alla individuazione. Errore, dolore e perdita implicano da un lato la comprensione delle correlazioni fra il nostro sistema percettivo-cognitivo e il mondo esterno; e dall'altro ci permettono di prendere coscienza della nostra composita natura: sfera intellettuale, sfera fisica, sfera emotiva e sfera animica. L'errore è la nostra risposta disfunzione ad una sollecitazione. Il dolore è la risposta ad una nostra identificazione in un oggetto/soggetto terzo. La perdita è l'assenza di quanto ritenevamo essere nostro, ed evidentemente non lo era. L'individuazione è la risultante di tutto ci: noi ci delimitiamo dal monte inferenziale ed estraniante in cui siamo immersi. Solamente quando l'uomo sarà in grado di assumersi l'onere e l'onore di una ricerca interiore che tenga in considerazione che è solamente liberandosi dalla maschera psicologica e sociale, con la sofferenza e la rinuncia che ciò comporta, sarà possibile volgere lo sguardo nell'interiorità.

Nessun commento:

Posta un commento