domenica 18 agosto 2019

Quelli che sono nella Verità generano altri (Vangelo di Filippo)


1.) L’Ebreo[1] crea l’Ebreo, e questo è chiamato così: "proselito[2]"; ma un proselito non crea un proselito. Quanti sono nella Verità[3] sono della Verità e generano altri; a questi  è sufficiente entrare nell'Esistenza[4].



[1] Ha inizio, e proseguirà per un lungo tratto di questo scritto, un parallelismo fra la forma e la sostanza dell’ebraismo e la forma e la sostanza dello gnosticismo. Per la scuola valentiniana, a cui possiamo ascrivere questo testo, l’ebraismo è la religione che si raccoglie attorno al culto del Demiurgo, il Dio Tetragrammatico, che ha creato questo mondo e che governa attraverso il tempo e le passioni: un dio minore cieco ed arrogante.
[2] Tardo latino  prosely̆tus, e questo dal greco. προσήλυτος, propr. «sopravvenuto». Nell’antico ebraismo così erano indicati coloro che si convertivano da altra religione a quella ebraica. Tale passaggio lascia aperta una serie di ipotesi. In base al “Halakhah” (è la tradizione "normativa" religiosa dell'Ebraismo), la condizione ebraica (di una persona, si deve considerare la condizione di entrambi i genitori. Se entrambi sono ebrei, allora anche la prole sarà considerata ebrea, ed assumerà lo status del padre (per esempio quello sacerdotale se è un Cohen). In una versione meno rigorosa si è ebrei per via matrilineare e solamente in un’accezione non rigorosa, e quindi ortodossa, lo si è in forza di un proselito. Il versetto fa supporre che è possibile convertirsi all’ebraismo, ma che il convertito non sarà mai un vero ebreo: lasciando supporre una filiazione psichica/spirituale/magica che scorre per via carnale.
[3] La “Verità” a cui il narratore si riferisce è quella incarnata nello gnosticismo, e non deve essere intesa quale frutto di un processo dialettico razionale. Essa, la Verità, è sostanziale in quanto è veicolo e forma di salvezza. Questa verità non riguarda i fenomeni e la manifestazione in cui lo gnostico è immerso, non concerne gli effetti, i sintomi o le cause che determinano i pesi, le misure e le regole che governano questo mondo. La verità di cui si narra è duplice. 1. La comprensione dell’illusoria ciclicità di questo mondo espressione di un dio minore 2) l’appartenenza ad una figliolanza spirituale altra rispetto a quella carnale.
[4] L’esistenza ha qui un duplice significato. Il primo ha valore ontologico: è il ricollegamento all’Essere, al ProtoGenitore, alla discendenza del Pleroma a cui lo gnostico deve tendere. Il secondo ha valore comparativo: colui che è esiste nella Verità è perfetto a sé stesso e immutabile: egli non ha più necessità di creare: egli genera suoi simili nella sostanza spirituale.

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